Tibet, urla dal silenzio

di Stefano Vecchia

Avvenire, 30 novembre 2012

 

Con gli ultimi tre suicidi il numero di tibetani che si sono immolati per protesta contro il dominio cinese è salito a 27 nel solo mese di novembre e a 75 dall’inizio dell’anno (89 complessivamente dal febbraio 2009).  Una situazione che sembra indicare, in un crescendo drammatico, la disperazione dei tibetani nelle province cinesi in cui è stato smembrato il Tibet storico dopo l’annessione nel 1959. Ed evidenzia l’incapacità di un vero dialogo negoziale con Pechino, penalizzato anche dalla mancanza di un concreto sostegno da parte della comunità internazionale, nonostante il costante impegno del Dalai Lama e delle rappresentanze tibetane che nel mondo fanno capo al governo tibetano in esilio in India.
Una recrudescenza delle immolazioni che, per molti analisti, non si può non legare proprio al cambio della guardia nel Partito Comunista cinese nel suo congresso tenutosi dall’8 al 14 novembre. Un’assise di particolare importanza perché ha decretato la nuova leadership ideologica e politica della Repubblica popolare cinese per i prossimi dieci anni e una copertura mediatica maggiore anche per la protesta dei tibetani, in molti casi portata alle estreme conseguenze.

 

 

Mercoledì, a sacrificarsi con il fuoco davanti agli uffici governativi di Kluchu (Luchu) nella provincia del Gansu, è stato Tsering Tashi, 31 anni, padre di due bambini. Poche ore prima, a Tsoe nella stessa regione si era dato alle fiamme il 21enne Wangdhen Khar. Prima di morire, Wangdhen ha chiesto a gran voce il ritorno del Dalai Lama. Il 18enne Sangay Tashi si era immolato martedì sera a Sangchu (Xiahe), sempre nel Gansu, chiedendo il rilascio del Panchem Lama, seconda autorità del buddhismo tibetano, sequestrato dalle autorità cinesi nel 1995 all’età di sei anni e sostituito con un personaggio da esse controllato.
Mentre continua lo sciopero della fame di una sessantina di tibetani, proseguono anche le proteste studentesche da tempo in corso nella provincia del Qinghai. Secondo quanto riferisce Radio Free Asia, centinaia di studenti manifestano da giorni contro una pubblicazione in cinese che definisce «irrilevante» la lingua tibetana e che considera «forma di stupidità» i suicidi per protesta. Durante le manifestazioni in cui si sono scontrati con la polizia, che ha effettuato cinque arresti, i giovani tibetani hanno bruciato copie del libretto chiedendo «uguaglianza» e «la libertà di studiare la lingua tibetana».

 

Stefano Vecchia