10 dicembre 2012. Prosegue l’ondata delle auto immolazioni in Tibet con due nuovi casi nella sola giornata di sabato 8 dicembre e la morte di una ragazza ieri, 9 dicembre. Kunchok Phelgye, un monaco ventiquattrenne del monastero di Sumdo, nella regione di Dzoege, e Pema Dorjee, ventitre anni, di Luchu, si sono cosparsi di benzina e si sono dati fuoco. Entrambi sono deceduti sul luogo dell’immolazione. Ieri si è immolata con il fuoco Bhenchen Kyi: aveva diciassette anni.
Bhenchen, morta sul luogo della protesta, si è data fuoco a Dokarmo, nella regione di Rebkong, attorno alle 20.00, ora locale. Avvolta dalle fiamme ha gridato “il popolo tibetano regnerà per decine di migliaia di anni” e ha invocato il ritorno del Dalai Lama. Duemila tibetani si sono radunati sul luogo dell’immolazione e sono riusciti a sottrarre alla polizia cinese i resti di Benchen Kyi. Grande, tra i presenti, la commozione, molti erano in lacrime. Nel volgere di poche ore Bhenchen è stata cremata. Da giorni aveva confidato agli amici la sua volontà di morire per la causa del Tibet e aveva chiesto che il suo corpo non fosse lasciato nelle mani dei cinesi.
Poco dopo le 5 del mattino (ora locale), di sabato 8 dicembre, Kunchok Phelgye si è trasformato in una torcia umana di fronte alla principale sala di preghiera del monastero di Kirti Taksang Lhamo: con le mani giunte e ormai avvolto dalle fiamme ha inneggiato alla lunga vita e al ritorno del Dalai Lama in Tibet e al rientro in patria di Khabje Kirti Rinpoche, il capo dell’omonimo monastero in esilio. Ha inoltre invocato la riunione di tutti i tibetani. E’ deceduto sul luogo della protesta. Nella regione di Dzoege si era auto immolato, il 30 novembre, Kunchok Kyab, ventinove anni, padre di un bimbo di due anni.
Pema Dorjee ha compiuto il suo estremo atto di protesta di fronte alla sala di preghiera del monastero di Shitsang, a Luchu (nella foto il suo corpo in fiamme). Fonti tibetane in esilio hanno riferito che Pema, ha gridato fino all’ultimo istante di vita slogan a favore del ritorno del Dalai Lama e dell’indipendenza del Tibet. Con la sua morte sale a novantacinque il numero dei tibetani che hanno dato la loro vita in segno di protesta contro l’occupazione cinese.
Il 5 dicembre, il coordinatore speciale degli Stati Uniti per la questione tibetana, signora Maria Otero ha accusato le autorità cinesi di rispondere all’ondata delle auto immolazioni con “misure che limitano ulteriormente i già strettissimi controlli imposti da Pechino alla libertà di pratica della religione, di espressione e di libera riunione dei tibetani”. “Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati e rattristati per il continuo crescere del numero delle immolazioni” – ha dichiarato Maria Otero – “La retorica denigrazione della lingua tibetana, del Dalai Lama e delle auto immolazioni portata avanti dalle autorità cinesi non fa che esacerbare le tensioni”.
Il 6 dicembre, la Corte Suprema cinese ha deliberato che chiunque aiuterà o istigherà i tibetani a darsi fuoco sarà accusato di omicidio. “I recenti casi di auto immolazione sono voluti e organizzati da separatisti che intendono distruggere l’unità etnica della Cina e fomentare il disordine sociale” – ha riportato un giornale cinese riprendendo la sentenza della Corte. “I criminale che, dietro le quinte, incitano e aiutano chi si auto immola saranno accusati di omicidio intenzionale”.
Fonte: Phayul