2 gennaio 2013. Quattro dissidenti cinesi sono riusciti a superare i controlli della polizia e a raggiungere Liu Xia (nella foto), la moglie 53enne del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, dall’ottobre del 2010 tenuta in maniera illegale agli arresti domiciliari nel suo appartamento alla periferia di Pechino. La donna “sconta”il Nobel per la pace, assegnato da Oslo a Liu Xiaobo per il suo impegno democratico in Cina e per la redazione e pubblicazione di “Carta 08”, un documento che chiede al governo meno corruzione e maggiore partecipazione popolare nelle scelte politiche ed economiche del Paese.
Il testo – che richiama la famosa “Charta 77” di Vaclav Havel – venne firmato da decine di migliaia di persone comuni, dissidenti, attivisti e intellettuali cinesi. Per questo, Liu Xiaobo è stato arrestato e condannato nel 2009 a 11 anni di carcere duro nel nord della Cina.
Il 28 dicembre 2012, dopo un’accurata preparazione, i quattro attivisti sono riusciti ad eludere la sorveglianza dei poliziotti che stazionano davanti all’appartamento della donna: sfruttando il cambio della guardia tra due gruppi di agenti, i dissidenti sono riusciti a parlare per qualche minuto con la donna e a filmarla. Nel video, Liu Xia appare invecchiata e molto spaventata. Non parla mai rivolgendosi alla telecamera se non per chiedere ai visitatori di “andare via prima che arrivino quelli e provochino altri guai”. La donna si rivolge sottovoce ai suoi visitatori, sussurrando all’orecchio di uno di loro. Dopo pochi minuti gli attivisti si sono allontanati: i quattro sono l’attivista anti-Aids Hu Jia, la blogger Liu Di, lo storico Xu Youyu e il dissidente Hao Jian. Hu Jia, che ha trascorso oltre tre anni in prigione per “sovversione”, e Xu Youyu sono tra i primi firmatari del documento pro-democrazia.
Proprio Hu Jia spiega: “Questo filmato mostra la paura e l’angoscia. Liu Xia ha già perduto la speranza, le autorità l’hanno resa timorosa. Teme ritorsioni sulla sua famiglia”. Per la liberazione di Liu Xiaobo si sono mobilitati 134 premi Nobel, che hanno chiesto a Pechino con una lettera aperta di “riportare la giustizia in Cina”.
Secondo diversi analisti, il video mostra la “sempre maggiore insofferenza” della popolazione cinese nei confronti delle autorità. All’inizio del filmato si vedono i quattro che fisicamente spingono una porta controllata da un agente, lo spingono via e salgono le scale: un gesto che potrebbe, secondo la legge vigente, condurli tutti in galera. Nonostante questo pericolo, si moltiplicano in Cina i gesti clamorosi di sfida all’autorità. Con il cambio della guardia nel Partito e nel governo – lo scorso novembre è stata incoronata la “Quinta generazione” di leader guidati da Xi Jinping, che entrerà in pieno possesso del potere il prossimo marzo – il popolo vuole spingere affinché il regime cambi e dia maggiore libertà e stato di diritto.
Il video girato dai dissidenti al sito:
http://www.youtube.com/watch?v=1Dl_hVH9Ky8
Hong Kong – 1 gennaio 2013
Decine di migliaia di persone hanno manifestato, all’inizio dell’anno, per esigere le dimissioni di Leung Chun-ying, capo dell’esecutivo di Hong Kong, accusato di essere un “bugiardo” per aver ristrutturato casa sua senza permessi e aver mentito in pubblico. I motivi che hanno spinto a dimostrare sono vari e si concentrano sull’insoddisfazione verso la politica di Leung, sempre più succube di Pechino e meno preoccupata del benessere della popolazione del territorio. Hong Kong è al primo posto nel mondo per i prezzi delle case, che sono aumentate del doppio in quattro anni, rendendo difficile la vita delle giovani famiglie. L’ex colonia britannica è anche molto inquinata, con 3mila morti premature all’anno a causa dell’aria pessima. A squalificare Leung come una pedina di Pechino vi è il tentativo – rifiutato dalla popolazione – di inserire nelle scuole una “educazione patriottica” che esalta i risultati della Cina popolare e quello di reinserire una legge per la sicurezza che riduce la libertà di espressione e di associazione.
La marcia di ieri mirava soprattutto a esigere le elezioni dirette del capo dell’esecutivo e il suffragio universale che la popolazione di Hong Kong non ha mai ottenuto, né sotto i britannici, né sotto la Cina. Pechino ha dichiarato che solo dal 2017 si potrà parlare di democrazia, temendo che la situazione del territorio possa infiammare le richieste di democrazia nella madrepatria.
Fonte: AsiaNews