HUMAN RIGHTS WATCH DENUNCIA LA REPRESSIONE IN TIBET. SEI TIBETANI CONDANNATI PER “OMICIDIO INTENZIONALE”

repressione_in_tibet6 febbraio 2013. Nel suo rapporto annuale, l’organizzazione a difesa dei diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha severamente criticato le misure repressive attuate in Tibet dal governo cinese (nella foto, gli studenti del Tibetan Children’s Village di Dharamsala in un momento della rappresentazione della violenza cinese in Tibet). Recita il rapporto: “A causa dell’introduzione, in tutto il paese, della normativa in base alla quale tutti i monasteri devono essere controllati direttamente dai funzionari governativi che stazionano permanentemente al loro interno, la situazione in tutto il paese è estremamente tesa”.

E così prosegue: “L’80% della popolazione rurale dell’altopiano è stata forzatamente trasferita, senza previa consultazione e senza adeguata compensazione”. “Lo standard di vita dei pastori, allontanati dalle loro tradizionali occupazioni, è in rapido declino e la loro sopravvivenza dipende sempre più dai sussidi governativi”. Il rapporto denuncia la massiccia presenza delle forze di sicurezza che impediscono ai giornalisti e ai visitatori stranieri il libero accesso alle aree tibetane e sottolinea inoltre la totale mancanza di libertà di espressione, associazione e pratica della religione del popolo tibetano nonché la sua impossibilità di intervenire nella scelta dei propri leader politici. “Il Partito controlla ogni aspetto della vita sociale e delle istituzioni, compreso il sistema giudiziale, e i tibetani sospettati di avanzare critiche nei confronti delle direttive politiche, religiose, culturali o economiche del governo sono sistematicamente perseguiti e accusati di separatismo”.

i_sei_tibetani_processati

Il 31 gennaio 2013, lo stesso giorno in cui la corte di Ngaba ha decretato la condanna a morte di Lobsang Konchok e inflitto dieci anni di carcere al nipote Lorang Tsering, il tribunale del popolo della contea di Sangchu ha condannato a pene detentive di lunghezza compresa tra i tre e i dodici anni sei tibetani (nella foto) accusati di “omicidio intenzionale” per aver cercato di impedire che la polizia cinese si impossessasse dei resti di Dorjee Rinchen, il contadino cinquantasettenne immolatosi il 23 ottobre scorso. I condannati sono Pema Dhondup (12 anni di carcere), Kalsang Gyatso (11 anni), Pema Tso (una donna, 8 anni), Lhamo Dhondup (7 anni), Digkar Gyal (4 anni) e Yangmo Kyi (un’altra donna, 3 anni).

L’accusa di “omicidio intenzionale” è configurata nelle nuove disposizioni emanate dalle autorità cinesi nei confronti di quanti sono sospettati di avere svolto un ruolo nei casi di auto immolazione. Nel testo ad esse relativo, reso pubblico il 3 dicembre 2012, si afferma: “Chiunque ostacoli i funzionari di pubblica sicurezza, il personale medico o gli addetti al recupero degli immolati sarà perseguibile per omicidio volontario in accordo con la legge cinese sul crimine”.

Nonostante le critiche rivolte alla Cina per le otto condanne recentemente formulate, proseguono in Tibet gli arresti di persone coinvolte nei casi di auto immolazione. E’ del 4 febbraio la notizia della detenzione di Yarphel, 42 anni, zio di Dorjee Lundhup, l’agricoltore venticinquenne tibetano immolatosi il 4 novembre 2013. Yarphel è accusato di “attività illegali” per aver portato in processione un ritratto del Dalai Lama durante i funerali del nipote.

Ieri, 5 febbraio, è giunta la notizia della morte, in un ospedale di Siling, il 17 novembre 2012, di Gyalrig Thar, un tibetano di 35 anni gravemente ferito alla testa il 18 marzo scorso durante una manifestazione di protesta nella regione di Ba Dzong. I dimostranti, oltre un migliaio, chiedevano la liberazione di oltre cinquanta monaci del monastero di Shingtri, arrestati tre giorni prima. Operato alla testa per tre volte nonostante le scarsissime possibilità di sopravvivenza, Gyalrig Thar non si è mai ripreso, incapace persino di pronunciare una parola o di assumere cibo e medicine.

Fonti: The Tibet Post – Phayul – ITN