Dharamsala, 17 febbraio 2013. Un altro tibetano si è immolato con il fuoco oggi in Tibet. Namlha Tsering, quarantanove anni, si è dato fuoco nel pomeriggio a Sangchu, contea di Labrang, nell’Amdo, in segno di protesta contro il perdurare dell’occupazione cinese. Una drammatica immagine lo mostra seduto sull’asfalto, a gambe incrociate in mezzo al traffico, ormai quasi completamente avvolto dalle fiamme.
Il personale di sicurezza, arrivato sul luogo della protesta, ha spento le fiamme, prelevato il suo corpo e immediatamente ripulito la strada. Fonti in esilio ritengono improbabile che sia sopravissuto perché il fuoco che lo consumava era molto forte. Namlha Tsering è il centoduesimo tibetano – il terzo nel solo mese di febbraio – che, all’interno del Tibet, ha scelto di darsi la morte come “atto estremo di disobbedienza civile contro il fallito dominio della Cina”, secondo quanto dichiarato i giorni scorsi, a Dharamsala, dal Sikyong Lobsang Sangay, leader politico dei tibetani. Ottantacinque sono i tibetani di cui è stata accertata la morte in seguito all’autoimmolazione.
Si chiama Drupchen Tsering (Druptse) il monaco tibetano che si è dato fuoco il 13 febbraio a Kathmandu. Aveva 25 anni ed era nato in un villaggio del Tibet orientale. Druptse era fuggito dal Tibet all’inizio di gennaio e dal momento del suo arrivo risiedeva presso il Tibetan Reception Centre della capitale nepalese. Prima di partire aveva promesso ai parenti e agli amici che avrebbe fatto qualcosa di utile per il futuro del popolo tibetano. Il suo corpo è ancora nelle mani delle autorità locali che, secondo quanto riferiscono fonti tibetane, stanno accampando pretestuose scuse per ritardare il processo di restituzione della salma.
La già vibrante tensione che si respira a Kathmandu è aggravata dalla comparsa, nelle vicinanze del luogo della protesta, di alcuni volantini firmati “I locali e i giovani di Boudha” in cui si afferma che le immolazioni “renderanno ancora più difficile la vita dei tibetani”. “Protestiamo contro questo atto e contro l’uso della nostra sacra terra in nome di un Tibet Libero”, si legge – tra l’altro – in uno dei volantini. “Volete il sangue, noi vi daremo la guerra”.
Fonti: Phayul – The Tibet Post International