Dharamsala, 27 marzo 2012. Un lama di alto lignaggio e sua nipote sono morti dopo essersi autoimmolati in segno di protesta contro l’occupazione cinese. Il fatto risale al 12 aprile 2012 e solo oggi la notizia è trapelata dal Tibet ed è stata resa nota dall’Amministrazione Centrale Tibetana. Thupten Nyendak Rinpoche, 45 anni, e sua nipote Atse, 23 anni (nella foto), si sono immolati lo scorso anno nella residenza del monaco presso il monastero Dzochen a Minyak, nella regione del Kham.
Temendo la chiusura del monastero, i capi dell’istituto religioso avevano dichiarato alla polizia che Tulku Thubten, conosciuto come Athup Tulku, e la nipote erano deceduti nell’accidentale incendio dell’abitazione. Pochi giorni prima di immolarsi, il Lama aveva dichiarato che avrebbe acceso molte lampade a burro in memoria di quanti si erano autoimmolati per il Tibet e aveva chiesto ai suoi studenti di compiere atti meritori, per esempio salvando la vita degli animali. Prima di compiere l’atto estremo, aveva chiamato al telefono i suoi familiari e aveva loro detto: “Oggi pongo fine alla mia vita offrendo lampade a burro ai tibetani che hanno dato la loro vita per il Tibet”. Al termine della telefonata, Thubten e la nipote si sono dati fuoco. Sono deceduti sul luogo della protesta
Con la tardiva notizia di queste due morti, sale a 113 il numero dei tibetani che si sono autoimmolati in Tibet dal 2009. I deceduti a causa delle ustioni riportate sono almeno 95.
Nel corso di un’intervista rilasciata al canale televisivo indiano Times now il 25 marzo, il Dalai Lama ha affrontato l’argomento delle immolazioni dal punto di vista della filosofia buddista. Il leader tibetano ha affermato che in generale secondo il Buddhismo il suicidio è considerato un atto violento ma in realtà il giudizio ultimo dipende dalla motivazione personale e dallo scopo che spinge un essere umano a togliersi la vita. Nel caso dei tibetani, essi si immolano per l’interesse della nazione tibetana e per il Buddha Dharma. Non sono spinti né dalla rabbia né dall’odio – che darebbero una motivazione negativa al loro gesto – ma agiscono con mente calma e motivati dalla compassione. In questo senso, dal punto di vista del Buddhismo, il loro atto può essere considerato positivo perché buona è la loro motivazione.
Fonti: The Tibet Post International – Phayul