LE PAROLE DEL DALAI LAMA AI SOCI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIA-TIBET

Cari fratelli e sorelle, mi rivolgo a voi e in particolare a quei fratelli e sorelle che da molti anni, da moltissimo tempo, sono nostri amici. Non solo, ma questa amicizia si è dimostrata duratura e stabile nel tempo per cui siete tutti estremamente affidabili. E poiché siamo uniti nel credo di vite passate e future, questa amicizia non sarà solo limitata a questa vita ma proseguirà per almeno dieci vite, saremo sicuramente uniti. Apprezzo moltissimo e profondamente questa vostra amicizia che non si basa sul desiderio di danaro, di potere o di convenienza politica ma sulla sincera preoccupazione di un fratello e di una sorella alla vista di un altro fratello che soffre. La apprezzo vivamente perché non solo provate questa grande simpatia per la comunità tibetana e per noi ma anche perché, con grande senso di concretezza, avete aiutato i tibetani in esilio e avete informato il mondo di quello che sta succedendo. Per questo motivo, sento che siete veramente i miei fratelli e sorelle.

Quando parlo di coloro che come voi sostengono il Tibet, non li definisco soltanto persone “pro Tibet” ma persone che sono per la giustizia. La nostra causa, infatti, è giusta e vera e più il tempo passa, più le persone se ne rendono conto. Questo avviene anche tra i cinesi. In questi anni ho avuto modo di incontrare diverse centinaia di cinesi provenienti da tutte le parti della Cina e di ogni estradizione, scrittori, artisti, registi, intellettuali, filosofi: tutti hanno espresso un autentico senso di preoccupazione per quello che sta succedendo in Tibet. In senso generale, questo sentimento è espresso anche dai governi, per esempio dal governo americano, dall’Unione Europea, dal governo dell’India. Certo, a causa dei molti problemi legati alla questione tibetana, non possono parlare liberamente, ma sia pubblicamente sia molto spesso dietro le quinte manifestano la loro sincera preoccupazione per quanto sta accadendo. Questo significa che avete fatto un grandissimo lavoro, soprattutto il nostro vecchio amico [ si rivolge al presidente Cardelli, NdR ]: penso che tu abbia fatto un lavoro straordinario, hai dato un grande contributo con il tuo duro lavoro, come tutti voi, con l’organizzazione di eventi, presentazioni di filmati e documentati, vi siete adoperati senza sosta e avete dato il vostro aiuto senza mai stancarvi. Se c’è tanta consapevolezza circa la situazione tibetana, è stato anche grazie al vostro contributo.

Posso schematizzare in tre punti il problema tibetano. Il primo è legato alla considerazione del problema ambientale. In Tibet nascono alcuni dei più grandi fiumi del mondo che vanno a irrigare tutte le aree asiatiche, dal Pakistan all’India e alla stessa Cina. La preservazione del sistema ecologico del Tibet è quindi importante non solo per sei milioni di tibetani ma per miliardi di persone. Anni fa, un importante ecologo cinese scrisse che l’altopiano del Tibet è il 3° Polo della Terra, dopo il polo nord e il polo sud, ed è di importanza cruciale anche per quanto riguarda il riscaldamento globale.

Il secondo punto riguarda la cultura del Tibet. Io distinguo sempre la cultura dalla religione buddhista, così come in occidente viene fatta una distinzione tra cultura e religione cristiana: nel contesto culturale cristiano nascono e si sviluppano movimenti separati dalla religione ma influenzati dalla sua cultura. Questo avviene anche in Tibet. Per fare un esempio, in Tibet vi sono alcune comunità musulmane che ovviamente non praticano il Buddhismo ma ne conoscono la cultura in quanto vivono al suo interno, ne fruiscono e la mettono in pratica. Che cos’è la vera cultura buddhista? E’ la cultura della pace e della non-violenza, in ultima analisi è la cultura della compassione. Ai nostri giorni è molto importante perché i conflitti nascono là dove prendono piede culture opposte a quella della pace, della non-violenza e della compassione.

Il terzo punto riguarda i rapporti tra India e Cina. Il Tibet si trova tra questi due paesi ed è di fondamentale importanza per le loro buone relazioni: sono i paesi più popolosi del mondo e la vita di miliardi di persone è legata ai rapporti che intercorreranno tra queste due nazioni.

Si sono succedute ormai molte generazioni da quando è avvenuta la cosiddetta liberazione del Tibet ma la determinazione e l’impegno dei tibetani non sono mai diminuiti, anzi, sono cresciuti. Quando i miei amici cinesi mi chiedono come ciò sia possibile rispondo che la loro determinazione deriva dalla loro fede, dal Buddhismo, dal messaggio che il Buddha ha diffuso 2500 anni fa. E questo messaggio è valido e pratico anche ai nostri giorni. Lo hanno confermato scienziati con i quali sono in contatto da molti anni e che hanno compiuto interessanti scoperte scientifiche. Ed è considerevole anche il numero delle persone che segue il messaggio del Buddha: tre anni fa, un’indagine condotta in Cina aveva rivelato la presenza nel paese di 300 milioni di buddhisti. Ma lo scorso anno, alcuni amici cinesi mi hanno riferito che questo numero è aumentato, che nel giro di tre anni i buddhisti in Cina sono almeno 400 o 500 milioni, che l’interesse dei cinesi per il buddhismo è cresciuto in modo esponenziale.

Al confronto del Buddhismo, il Marxismo ha solo 200 anni ma nel tempo è diventato un pensiero totalitario, allontanandosi dal pensiero originario di Marx. Personalmente, mi considero vicino al pensiero Marxista che non è nato come totalitario. Quando mi riferisco alla fine dell’URSS non mi esprimo mai in termini di “caduta del pensiero Marxista e comunista” ma parlo invece di caduta del sistema totalitario. Ora in Cina è stata nominata una nuova leadership e mi auguro che questa nuova dirigenza al potere orienti la sua politica verso la ricerca della verità sulla base dei fatti, come disse Deng Xiao Ping. E’ molto importante. Ciò che vogliamo non è l’indipendenza dai cinesi, vogliamo stare assieme a loro in modo costruttivo, che sia di beneficio per entrambi. Chiediamo una significativa autonomia che consenta ai tibetani di praticare liberamente la propria religione e portare avanti la propria cultura. Il Tibet non è mai stato parte della Cina, lo attestano molti scritti risalenti al 6°, 7° e 8° secolo. Lo stesso Mao, all’inizio della sua carriera politica, affermava che tutte le persone erano uguali, era contrario ad ogni forma di sciovinismo razziale, era indignato dalla pretesa superiorità della razza Han. Poi, lentamente, questo sciovinismo razziale si è andato affermando ed è alla base della discriminazione tra cinesi e tibetani che sono diventati cittadini di secondo livello nella loro terra.

Ai nostri giorni alcuni giovani tibetani rifiutano la Via di Mezzo da me prospettata che prevede la creazione di una regione autonoma che ci consenta di poter interagire con i cinesi sulla base di un reciproco beneficio. Questi giovani non vogliono che il Tibet sia parte della Cina, vorrebbero cambiare la mia linea politica, ma io considero la loro posizione del tutto irrealistica. Da un punto di vista pratico, abbiamo bisogno di avere più amici tra i cinesi, non più nemici, non vogliamo essere loro ostili, vogliamo vivere in amicizia in modo da poter coesistere assieme. E’ questa la Via di Mezzo che propongo. Ricevo moltissime lettere dalla Cina, incontro studenti cinesi e tutti mi dicono che nel loro paese erano completamente in balia della propaganda cinese, credevano solo a quello che veniva loro detto. Poi, arrivati in Occidente, si sono resi conto che la realtà è diversa. Quando li incontro, all’inizio c’è un po’ di rigidità, poi ci conosciamo meglio, ci rilassiamo ed ecco che tra noi avviene veramente un grande scambio, una grande comunione e unione. Questo è il potere della verità, dei fatti. Questo è un approccio realistico. Adesso in Cina è in atto un grande cambiamento ma anche tutto il mondo continua a cambiare, sta andando in un’altra direzione ed è impossibile che i cinesi riescano a spingerlo in senso opposto. Sono certo che prima o poi la direzione sarà una sola.