Dharamsala, 3 maggio 2013. Dopo 25 anni di carcere le autorità cinesi hanno rilasciato un attivista tibetano, arrestato e condannato a morte per aver preso parte alle proteste anticinesi di Lhasa del 1988. Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, ha diffuso la notizia della liberazione di Lobsang Tenzin (nella foto) in questi giorni, ma il prigioniero politico è stato liberato alla fine del 2012 a causa delle gravi condizioni di salute dovute alle torture e agli abusi subiti in carcere. I termini della sua carcerazione sarebbero scaduti nell’aprile di quest’anno.
Penpa Tsemonling, ex compagno di cella di Tenzin, spiega a Radio Free Asia (Rfa): “Il suo rilascio è stato tenuto segreto di proposito, per evitare che le autorità cinesi lo riportassero in carcere una volta migliorate le sue condizioni”.
Per le torture e gli abusi subiti in questi 25 anni, Tenzin ha riportato gravi danni al fegato, ha sviluppato il diabete ed è ormai quasi del tutto cieco. L’attivista, allora venticinquenne, aveva partecipato all’insurrezione di Lhasa del 1988, ed era uno dei cinque tibetani condannati per la morte di un funzionario cinese di polizia che era stato picchiato e gettato dalla finestra dopo essere stato scoperto a fotografare i manifestanti di Lhasa. Il ruolo di Tenzin nell’uccisione non è mai stato chiarito: nonostante questo, il tribunale lo ha prima condannato a morte, per poi commutare la sua pena al carcere a vita. Anche durante la detenzione Tenzin aveva proseguito la sua attività di attivista politico. Nel 1989 aveva scritto una lettera a favore dell’indipendenza del Tibet e, assieme a tre compagni di carcere e ad alcuni tibetani in libertà, aveva dato vita a un gruppo chiamato “La Gioventù del Leone delle Nevi per l’Indipendenza Tibetana”.
Il 2 maggio è stato rilasciato per decorrenza dei termini della pena, un altro prigioniero politico, Lodoe Gyatsto, cinquantadue anni, detenuto nella prigione di Chushul, nelle vicinanze di Lhasa. Era in carcere da 21 anni. Nel 1991 era stato condannato a 15 anni di prigione sotto l’accusa di omicidio. Il 4 marzo 1995, mentre era rinchiuso nella prigione di Drapchi, Gyatso inscenò una manifestazione di protesta contro l’occupazione cinese inneggiando all’indipendenza del Tibet, alla lunga vita del Dalai Lama e all’unità di tutti i tibetani. Per questo fu torturato e condannato a morte. La sentenza venne commutata in altri sei anni di carcere grazie all’intervento di Amnesty International e delle Nazioni Unite che chiesero clemenza per il prigioniero. E’ attualmente in precarie condizioni di salute.
Fonti: AsiaNews – Phayul