20 giugno 2013. La scrittrice e blogger tibetana Tsering Woeser e il marito, l’intellettuale dissidente Wang Lixiong, sono stati posti agli arresti domiciliari nella loro abitazione di Pechino per impedire che possano commentare o mettere in dubbio le dichiarazioni che saranno rilasciate da un gruppo di giornalisti stranieri che si apprestano a visitare Lhasa su invito del governo cinese.
Woeser ha già incontrato alcuni dei giornalisti e le autorità temono che i suoi commenti possano smentire il quadro idilliaco raffigurante tibetani felici in un Tibet armonioso che Pechino si aspetta venga dipinto dai rappresentanti della stampa al termine di un viaggio con destinazioni e incontri prefissati. Il gruppo dovrebbe partire per Lhasa il 6 luglio e dovrebbe rimanere in Tibet fino al giorno 13. Alcuni diplomatici dovrebbero visitare il paese alla fine di giugno.
In un tweet, Woeser ha scritto che il pomeriggio del 19 giugno, sette o otto tra poliziotti e appartenenti alla sicurezza hanno circondato lei e il marito, li hanno fatti salire sull’auto di loro proprietà e li hanno scortati fino a casa, a Tongzhou, nella parte orientale di Pechino, senza consentire alcuna sosta, nemmeno per acquistare del cibo. Poliziotti in borghese controllano l’esterno dell’abitazione e due guardie sorvegliano in permanenza l’ascensore. Sembra che il confino dei due dissidenti sia destinato a durare almeno fino al 25 giugno. Tsering Woeser, una delle voci più note della dissidenza tibetana, ha subito più volte gli arresti domiciliari, a cominciare dal 2008, dopo l’insurrezione di Lhasa. Nel marzo di quest’anno, durante la riunione dell’Assemblea nazionale del Popolo, la sicurezza le impose la reclusione. Nel marzo 2012, le autorità le inflissero un mese ai domiciliari per impedirle di ritirare, presso l’ambasciata olandese a Pechino, il Prince Claus Awards, un riconoscimento conferito ogni anno a undici personalità o organizzazioni le cui azioni hanno avuto un impatto positivo sullo sviluppo delle società in cui vivono ed operano.
Il 19 giugno, l’organizzazione Human Rights Watch ha definito “un’invasiva sorveglianza sulle persone attuata attraverso una capillare ri-educazione politica” la campagna denominata “Solidificare le fondamenta, beneficiare le masse” che Pechino sta attuando in Tibet. Human Rights Watch afferma che questa campagna discrimina i tibetani, giudicati potenzialmente “sleali” e limita la loro libertà di religione e di opinione.
All’interno della campagna, iniziata nel 2011 e destinata a durare tre anni, oltre 20.000 funzionari e membri dei quadri del Partito comunista sono stati arruolati a formare le oltre 5000 squadre che sono di stanza nei villaggi del Tibet centrale, ufficialmente per “migliorare lo standard delle condizioni di vita nelle aree rurali”. In realtà, precisa HRW, le squadre di lavoro “dividono i tibetani in categorie sulla base delle loro convinzioni politiche e religiose e monitorano il loro comportamento e le loro opinioni”. Lungi dall’essere “di beneficio” ai tibetani, i team governativi cercano anzitutto di accrescere il ruolo e l’importanza del Partito nei villaggi e, in seconda battuta, di favorire la “stabilità sociale” colpendo la “cricca del Dalai Lama” e rafforzando il controllo sui monasteri e sull’educazione dei monaci e delle monache.
Fonti: Phayul – Tibet Network