XINJIANG: DOPO GLI SCONTRI ETNICI L’ESERCITO TORNA PER LE STRADE

CINA_-_Xinjiang1 luglio 2013. Urumqi (AsiaNews/Agenzie). Dopo le violenze della settimana scorsa, il governo centrale cinese ha inviato truppe di paramilitari nella provincia occidentale dello Xinjiang, teatro di scontri fra la locale etnia uigura e l’etnia han, maggioritaria in Cina, emigrata in massa nella regione. Nel corso dell’ultimo confronto a fuoco, il peggiore in quattro anni, sono morte 35 persone: non è ancora chiaro chi lo abbia iniziato e per quali motivi.

Lo scorso 26 giugno, la folla ha attaccato un edificio governativo e una stazione di polizia a Lukquan; la polizia ha aperto il fuoco ad altezza d’uomo uccidendo decine di manifestanti. Due giorni dopo un gruppo armato ha cercato di replicare gli scontri a Hotan, ma è stato fermato – pare senza vittime – dagli agenti dell’antiterrorismo. Almeno 19 persone sono state fermate per “aver diffuso notizie allarmanti” con i cellulari.

Il ministero della Pubblica sicurezza ha confermato sul proprio sito internet l’invio di militari nell’area: Pechino teme l’avvicinarsi del 5 luglio, quarto anniversario dei violenti sommovimenti provinciali che nel 2009 costarono la vita a più di 200 persone. Yu Zhengsheng, membro della Commissione permanente del Politburo che ha la responsabilità di Xinjiang e Tibet, ha dichiarato: “Prenderemo ogni decisione utile a fermare i gruppi terroristi e le organizzazioni estremiste nell’area”.

La provincia è da molto tempo epicentro di violenze e tensioni fra l’etnia uigura – un tempo maggioritaria nella zona – e l’etnia han. Il governo centrale di Pechino ha favorito l’emigrazione di han nella provincia proprio per cercare di “livellare” la realtà sociale del Xinjiang, ma i continui scontri dimostrano che l’esperimento è fallito.

Gli uiguri sono musulmani e turcofoni: da diversi decenni hanno un rapporto conflittuale con il governo centrale cinese. Dopo alcuni tentativi (falliti) di ottenere l’indipendenza come “Turkestan orientale”, i leader etnici hanno chiesto a Pechino la possibilità di preservare lingua, cultura e religione locale. Il governo cinese – pur concedendo agevolazioni fiscali e sociali – ha deciso invece di usare la mano pesante e ha lanciato una campagna di controllo e repressione in tutta la zona.

La mano pesante del regime si fa sentire anche sulle comunità religiose islamiche, sospettate di educare a un islam integralista e terrorista. Vi è controllo e censura su pubblicazioni islamiche, controllo sulle prediche degli imam, ai giovani prima dei 18 anni è proibito andare in moschea.

Fonte: AsiaNews

Alcune immagini della massiccia presenza militare cinese nello Xinjiang al sito:

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