5 luglio 2013. Lobsang Gendun, un monaco tibetano di vent’anni, è stato arrestato la mattina del 1° luglio nella Contea di Pashoe, nella cosiddetta Regione Autonoma Tibetana, per aver manifestato durante lo svolgimento delle celebrazioni per il 92° anniversario della salita al potere del Partito Comunista cinese. Per oltre cinque minuti, prima di essere arrestato, ha gridato slogan inneggianti alla lunga vita del Dalai Lama e alla libertà del Tibet.
Dopo averlo portato via, il personale dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza si è recato al vicino monastero di Drongsar, al quale il monaco apparteneva, e ha perquisito la sua camera senza peraltro trovare nulla di sospetto. Ai monaci che protestavano per l’irruzione della polizia nella stanza di Lobsang senza alcuna autorizzazione, le forze dell’ordine hanno risposto ordinando l’immediato ritorno al monastero di tutti i religiosi assenti per le vacanze estive. La loro richiesta è stata rifiutata. Le forze di sicurezza si sono quindi recate presso l’abitazione dei genitori di Lobsang Gendun: rotte le finestre, sono entrati nella sua camera, dove sembra abbiano trovato alcune foto del Dalai Lama. Secondo un rituale ormai consumato, sono state messe sotto controllo le comunicazioni all’interno del monastero e in tutta la contea.
Questo arresto, avvenuto all’indomani della visita in Tibet dell’ambasciatore USA Gary Locke, primo diplomatico americano a visitare Lhasa dal 2010, è in aperta contraddizione con le voci da qualche giorno circolanti circa un possibile ammorbidimento della linea politica cinese in Tibet, voci peraltro seccamente smentite dalla stessa Repubblica Popolare. Una settimana fa, Radio Free Asia aveva annunciato che nelle aree tibetane era stato abolito il divieto di venerare il Dalai Lama come simbolo religioso e che i suoi ritratti, banditi dai templi e dai monasteri, potevano essere esposti alla venerazione popolare. Il provvedimento definito “sperimentale”, ha sollevato interrogativi e discussioni ma la cautela nel valutare la portata di queste voci è assolutamente d’obbligo anche se, come sembra, un certo ammorbidimento del bando delle immagini del Dalai Lama limitatamente alle regioni del Qinghai e del Sichuan, dove è avvenuto il maggior numero di immolazioni, pare si sia effettivamente verificato.
Non vi sono motivi concreti per concedere spazio all’ottimismo. E’ di sole tre settimane fa la notizia dell’autoimmolazione di Wangchen Dolma, la monaca trentunenne del monastero di Tawu, nel Tibet orientale. Human Rights Watch, in un suo recente rapporto, ha reso noto che, dal 2006, almeno due milioni di tibetani sono stati forzatamente trasferiti nei “nuovi villaggi socialisti” e costretti di conseguenza ad abbandonare il tradizionale stile di vita. I gruppi di sostegno e le organizzazioni a difesa del Tibet si sono mobilitati per salvare Lhasa dalla cosiddetta modernizzazione: la petizione indirizzata a questo fine all’UNESCO ha raggiunto la scorsa settimana le 100.000 firme. Il controllo sui monasteri è aumentato e 600 nuovi posti di blocco sono stati istituiti in tutto il Tibet.
Fonti: Tibet Network – South China Morning Post