Dharamsala, 17 ottobre 2013. A distanza di oltre due settimane dall’inizio della repressione resta estremamente tesa la situazione nella Contea di Driru, nella cosiddetta Regione Autonoma Tibetana, dopo il rifiuto da parte della popolazione locale di issare la bandiera cinese sul tetto delle case in occasione del 64°anniversario della fondazione della Repubblica Popolare. Le immagini arrivate dal Tibet (nelle foto) documentano la massiccia presenza della polizia armata e delle forze paramilitari in marcia verso la Contea.
Per ordine delle autorità, tutti gli spostamenti dei tibetani nella Contea di Driru sono strettamente sorvegliati e i viaggiatori che devono recarsi nelle aree vicine e nella stessa Lhasa devono esibire uno speciale permesso. Rinforzi militari per un totale di 18.000 persone tra funzionari governativi e forze di pubblica sicurezza sono stati fatti affluire a Driru da Lhasa e dalla prefettura di Nagchu.
Il giorno 8 ottobre quattro tibetani sono morti a Nagchu dopo che le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco contro i dimostranti che manifestavano di fronte agli uffici governativi. Tre delle vittime erano originarie del villaggio di Sengthang e la quarta del villaggio di Tinring. Almeno sessanta i feriti. Lo stesso giorno le autorità governative hanno fatto pervenire alle stazioni di polizia di Lhasa una circolare in cui vengono fornite istruzioni sulle misure da adottare per controllare i movimenti dei tibetani provenienti dalla prefettura di Nagchu. Ricorrendo a un linguaggio in codice, gli addetti devono – tra l’altro – definire “turisti” i residenti nella capitale originari di Nagchu e dare notizia dei loro spostamenti da un posto di blocco all’altro in modo che si sappia sempre dove si trovano.
Il giorno 11 ottobre le forze di polizia cinesi della Contea di Driru hanno tratto in arresto due giovani tibetani, lo scrittore Tsuiltim Gyaltsen, 27 anni, e il suo amico Yougyal, un ex poliziotto di 26 anni, con l’accusa di “minare la stabilità sociale” e di essere coinvolti in “attività separatiste”. Tsuiltrim è anche accusato di aver preso parte assieme a un migliaio di connazionali allo sciopero della fame di ventiquattro ore organizzato davanti alla locale stazione di polizia per chiedere la liberazione dei tibetani arrestati dopo gli scontri del 28 settembre a Mowa.
Il giorno 13 ottobre, Kalsang Choedar, un monaco del monastero di Palyul, situato nell’omonima Contea, è stato arrestato per aver fornito ai “separatisti” in esilio informazioni sulla repressione in atto a Driru. Almeno 400 tra monaci e laici residenti nella zona hanno chiesto la sua scarcerazione con una manifestazione di protesta davanti alla stazione di polizia.
E’ del 16 ottobre la notizia che anche quindici delle trecento famiglie residenti nella Contea di Chentsa, nella regione dell’Amdo, si sono rifiutate di issare la bandiera rossa sui tetti delle loro case. “Non so se gli altri saranno obbligati a issarle”, – ha dichiarato un tibetano a Radio Free Asia – “per quanto mi riguarda non lo farò mai anche se questo dovesse significare la mia morte”.
In data odierna, 17 ottobre, il sito di informazione tibetano Phayul pubblica la notizia dell’arresto di una donna, Kalsang, originaria di Tsala, nella Contea di Driru, accusata di aver espresso “sentimenti anticinesi” attraverso il social network WeChat e di custodire nel suo cellulare foto del Dalai Lama e canzoni messe al bando. Al momento non sono pervenute notizie sul luogo della sua detenzione.