7 gennaio 2014. Otto tibetani sono stati tratti in arresto a Karma, una cittadina della Contea di Chamdo (Kham – nella foto), perché accusati di fare parte di un movimento popolare volto a cementare l’unità dei tibetani e ad accrescere il loro grado di alfabetizzazione. Riferisce Radio Free Asia che gli arresti, avvenuti tra il 3 e il 5 gennaio, sono stati preceduti da una minuziosa ricerca condotta casa per casa da parte delle autorità cinesi. Dopo essere stati portati alla stazione di polizia, sembra che alcuni siano stati picchiati.
Venerdì 3 gennaio sono stati arrestati Phuntsok Namgyal, Pema Tsultrim e Dorjee Lodoe. Il 5 gennaio è stata la volta di Barlo Yudrung, Denma Tratop, Ngora Tashi Namgyal, Draktsa Dorje Rigzin e Yibnub Sonam. La polizia ha requisito i nastri di stoffa che portavano al collo quale simbolo di unità. E’ possibile, anche se non ancora confermato, che la detenzione degli otto tibetani sia da porre in relazione all’arresto di “Khenpo” (abate) Kartse, il religioso trentottenne del monastero di Jhapa, nella contea di Nangchen, arrestato il 6 dicembre nella città di Karma con l’accusa di “attività contro lo stato”. Dal centro di detenzione di Chamdo, il Khenpo ha fatto sapere alla comunità monastica e alla locale comunità tibetana di essere in buona salute e di non avere subito torture. Ha inoltre esortato tutti alla calma e a non prendere decisioni affrettate.
Il 2013 si è chiuso con la notizia di nuove tensioni nella Contea di Driru, nella Regione Autonoma Tibetana. Il 31 dicembre, il sito tibetano Phayul ha dato notizia della chiusura forzata dei monasteri di Drongma e Rabten, da alcuni mesi al centro di una campagna di resistenza contro le imposizioni del governo alla popolazione locale. Le forze di sicurezza locali hanno circondato i due luoghi di studio e di culto e arrestato otto monaci.
La zona è nota per essere stata il centro di una campagna di resistenza contro le nuove norme sulla “lealtà allo stato”. Riferisce Phayul ad AsiaNews: “I comunisti hanno paura dell’instabilità di Driru, perché temono che possa scatenare un effetto domino sulle altre aree del Tibet. Per questo hanno lanciato, dal settembre 2013, una ‘Campagna di rieducazione del pensiero’ contro i monaci e i novizi”.
Dal lancio della campagna, il governo locale ha annunciato “dure punizioni” per chi si rifiuta di adempiere ad alcuni obblighi, fra cui l’esposizione della bandiera cinese e la proibizione di parlare in lingua tibetana; chi protesta rischia l’espulsione da scuola o il licenziamento, la sospensione dei trattamenti medici e il divieto di coltivare le piante mediche, una delle principali fonti di sostentamento economico del distretto.
Fonti: Radio Free Asia – Phayul – AsiaNews