13 gennaio 2014. Oltre due terzi dell’antica città di Gyalthag, situata nella Contea di Dechen, provincia dello Yunnan, sono andati distrutti da un colossale incendio sviluppatosi nella serata di sabato 11 gennaio. Nonostante l’intervento di almeno mille vigili del fuoco (nella foto), le fiamme hanno devastato più di trecento abitazioni. Non ci sono vittime ma molti residenti sono rimasti senza casa.
Gyalthag, ribattezzata dai cinesi “Shangri-la”, fu teatro nel 2010 di un imponente trasferimento della popolazione nomade tibetana: oltre 6.000 pastori appartenenti a 1.300 diverse famiglie nomadi furono trasferiti in alloggi stanziali in ottemperanza a un preciso programma governativo.
Il 10 gennaio un incendio ha distrutto un convento di monache nel complesso di Sertar Larung Gar, nel Sichuan (nella foto), sede di un rinomato e popoloso Centro di Sudi Buddisti. Due monache sono rimaste ferite e 2.600 persone hanno perso la casa. Le cause del rogo, alimentato dal forte vento, non sono state appurate ma le fotografie postate sul sito cinese weibo.com e su facebook sono state rimosse.
Sertar e il suo Centro di Studi Buddisti, fondato nel 1980, entrarono tristemente nella cronaca nell’estate del 2001 quando le autorità cinesi deportarono con la forza migliaia di monaci e monache e ne distrussero le abitazioni costringendo i religiosi a vagare tra i boschi, senza alcun riparo. L’abate, Kenpo Jigme Phuntsog, che si era rifiutato di partecipare alle cerimonie per l’intronizzazione del Panchen Lama “cinese” fu arrestato e trasferito in un ospedale di Chengdu. Morì tempo dopo, in circostanze mai chiarite.
Questi due ultimi incendi si aggiungono a quello divampato nella notte di sabato 16 novembre 2013 nella Contea di Lithang, prefettura di Kardze, regione del Sichuan. Le fiamme avevano danneggiando gravemente il monastero di Ganden Thubchen Choekhorling, vecchio di 433 anni e distrutto la principale sala di preghiera assieme alle statue e ai preziosi manufatti che la ornavano.
Il verificarsi di tre grossi incendi nell’arco di soli due mesi pone un inquietante interrogativo: sono dovuti a tragiche cause accidentali o sono frutto di deliberati atti di sabotaggio? Il sito tibetano Tibettruth ipotizza che i roghi siano “motivati politicamente”, istigati da un regime che vede nei centri religiosi tibetani un terreno propizio alla crescita del dissenso e alla resistenza contro la tirannia cinese. La stessa Amministrazione Centrale Tibetana, deplorando l’incendio sviluppatosi a Gyalthag ed auspicando la pronta ricostruzione dell’antica città secondo le tradizionali caratteristiche architettoniche, fa sua l’ipotesi di “falsi incidenti” provocati ad arte dal governo cinese in nome del “rinnovamento urbano”.
Fonti: Phayul – Tibettruth – redazione