17 gennaio 2013. Il 15 gennaio, oltre 400 tibetani tra i quali 60 monaci si sono riuniti in una silenziosa manifestazione di protesta (nella foto) per chiedere la liberazione di Khenpo Kartse, l’abate trentottenne del monastero di Jhapa, situato a Nangchen, prefettura di Yushul, nella parte orientale della Regione Autonoma Tibetana. Il “Khenpo”, sospettato di “attività contro lo stato”, era stato arrestato il 6 dicembre 2013 mentre si recava a Chengdu.
Conosciuto anche come Karma Tsewang, Khenpo Kartse è molto rispettato tra i tibetani per il suo incessante adoperarsi in campo sociale e per l’attività svolta a sostegno e protezione della lingua, della religione e della cultura tibetana.
Nei giorni successivi al suo arresto, la polizia ha fermato e trattenuto nel centro di detenzione di Nangchen altri ventuno tibetani, compresi sedici monaci, che avevano chiesto la sua liberazione. Interrogato il 31 dicembre, Khenpo Kartse aveva rassicurato in una lettera i compatrioti facendo loro sapere di essere in buone condizioni di salute e di non avere subito torture. Aveva inoltre chiesto loro di stare tranquilli e di non prendere decisioni affrettate.
In seguito alla manifestazione del 15 gennaio, la polizia di Nangchen ha consentito ai 60 monaci del monastero di Jhapa di visitare gli altri religiosi detenuti a condizione che ponessero fine alla protesta. Nulla è trapelato circa l’eventuale liberazione di Khenpo Kartse. L’organizzazione a sostegno del Tibet Free Tibet ha reso noto che il tribunale supremo della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana intende colpire duramente coloro che sono sospettati di “sabotare e minacciare la sicurezza nazionale” e che “è in atto una vera guerra” contro tali attività. Sono state istituite forze speciali per combattere le “organizzazioni clandestine” che si giovano dell’”influenza religiosa”.
Fonti: Radio Free Asia – Free Tibet