Pubblichiamo il testo della Risoluzione approvata nella seduta del 5 marzo 2014 dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato concernente il rispetto dei diritti fondamentali in Tibet.
La Commissione,
premesso che:
il 5 dicembre 2013 la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato ha incontrato Dicki Chhoyang, ministro dell’informazione e delle relazioni internazionali dell’amministrazione centrale tibetana a Dharamsala, la quale ha descritto la drammatica situazione in Tibet sotto la repressione del governo cinese, sottolineando l’impegno e gli sforzi ininterrotti dei tibetani per conservare la propria dignità e per preservare, nell’esilio, la cultura tibetana;
a partire dal 2002 la rappresentanza tibetana ha incontrato, in nove tornate di colloqui, il Governo cinese, esprimendo la scelta del governo tibetano di seguire la via dell’autonomia del Tibet da Pechino attraverso la cosiddetta via di mezzo, all’interno della cornice della Costituzione cinese, ribadendo la via della non violenza;
l’ultimo incontro con le autorità cinesi è avvenuto nel gennaio 2010, senza ottenere risultati concreti, e da allora il dialogo della Repubblica popolare cinese con i rappresentanti tibetani è sospeso;
il Dalai Lama si è dimesso da capo del Governo in esilio nel 2011, rinunciando alla propria posizione di autorità nell’organizzazione a favore di un leader democraticamente eletto. Il sikyong Lobsang Sangay, eletto il 27 aprile 2011, è attualmente a capo del governo tibetano in esilio in India;
il 4 giugno 2012, il, Lobsang Sangay, ha accettato le dimissioni dell’inviato speciale di sua santità il Dalai Lama, Lodi G. Gyari, a causa dell’interruzione del dialogo da parte delle autorità cinesi;
considerato che:
dall’occupazione militare del Tibet nel 1959, il Governo della Repubblica popolare cinese ha praticato una politica di assimilazione forzata e di marginalizzazione del Tibet, negando sistematicamente i diritti fondamentali ai tibetani;
le autorità della Repubblica popolare cinese hanno contrastato duramente negli ultimi anni le proteste in Tibet imponendo restrittive misure di sicurezza che limitano la libertà di espressione, di associazione e di credo. I tibetani sono inoltre sistematicamente marginalizzati nelle attività economiche e nell’accesso all’istruzione;
il dialogo Unione europea – Cina sui diritti umani non ha migliorato in modo significativo la situazione dei diritti umani del popolo tibetano;
impegna il Governo:
a chiedere alle autorità cinesi l’immediata cessazione della repressione in Tibet e delle violenze nei confronti della popolazione e dei religiosi tibetani e il rispetto dei diritti fondamentali in Tibet, in particolare la libertà di espressione, di associazione e di credo del popolo tibetano;
a sostenere la ripresa del dialogo fra il Governo della Repubblica popolare cinese e gli inviati del Dalai Lama, finalizzato all’individuazione di una soluzione pacifica e condivisa, e all’avvio di una discussione sull’attuazione di una reale autonomia regionale del Tibet;
a chiedere alle autorità cinesi di rispettare la libertà linguistica, culturale e religiosa del popolo tibetano, e a garantire l’insegnamento della lingua tibetana nel sistema scolastico del Tibet;
a intensificare gli sforzi volti ad affrontare la situazione dei diritti umani del popolo tibetano nel quadro del dialogo UE-Cina in materia di diritti umani;
a reiterare al Governo cinese le richieste, già avanzate dal Parlamento europeo, di aprire in via stabile e permanente il Tibet alla stampa, ai diplomatici, in particolare ai rappresentanti dell’Unione europea, ed agli stranieri in generale;
a sollecitare, attraverso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), in particolare l’Alto Commissariato per i diritti umani e il Consiglio per i diritti umani, un’azione di monitoraggio sulla situazione del rispetto dei diritti umani in Tibet;
ad insistere presso le autorità cinesi affinché rispondano alle richieste di visita avanzate dagli organismi dell’Onu e di monitoraggio della situazione dei diritti umani, attraverso un invito permanente, in modo da poter contribuire ad accertare quanto avvenuto in quella regione.