20 giugno 2014. Ventisette tibetani sono stati arrestati due settimane fa nella Contea di Chabcha (prefettura Autonoma Tibetana di Tsolho) per aver cercato di fermare i lavori di estrazione del marmo iniziati dai cinesi in una cava nelle vicinanze del villaggio di Karsel, ritento un luogo sacro. I manifestanti protestavano contro l’apertura della nuova cava ritenuta illegale per decorrenza dei termini di concessione.
Tra il 6 e il 7 giugno il personale di sicurezza cinese ha tratto in arresto i ventisette tibetani che cercavano di bloccare ogni attività di estrazione. Tra essi due capi villaggio. Nei giorni successivi, quattro dei fermati sono stati liberati ma, secondo quanto riferisce Radio Free Asia, ventitré sono ancora in carcere.
Sono oltre sessanta i tibetani arrestati il 9 giugno nella Contea di Zogang per aver partecipato a una manifestazione contro l’apertura di una nuova miniera. Le autorità cinesi hanno prima radunato gli abitanti del villaggio e, in un secondo tempo, hanno imposto a un membro maschio di ogni famiglia di seguirli nella sede del governo locale, dove si trovano ancora oggi. Secondo una fonte “vengono interrogati a scadenza regolare”. I tibetani arrestati provengono tutti dal villaggio di Gewa dove, il 7 maggio 2014, Phakpa Gyaltsen, un tibetano di 32 anni, si è tolto la vita in segno di protesta lanciandosi dal tetto di un edificio. Aveva fatto sapere di voler compiere un gesto che esprimesse l’opposizione di tutta la Contea alle attività minerarie. Dalla sommità dell’edificio aveva invocato libertà per il Tibet. Quando i funzionari governativi hanno cercato di fermarlo, Phakpa si è lanciato nel vuoto dopo essersi inflitto due pugnalate. E’ morto sul colpo. Un altro tibetano, Rinzin, aveva cercato di pugnalarsi a morte dopo essere salito sul tetto dell’abitazione di Phakpa dove i famigliari erano riuniti per ricevere le visite di condoglianze di parenti e amici: era stato fermato dagli agenti di polizia e trasferito nel vicino ospedale.
Dopo la morte di Gyaltsen, centinaia di tibetani sono scesi in strada nella vicina città di Tongbar chiedendo la cessazione di tutte le attività estrattive nell’area. I funzionari del governo hanno prima disciolto il corteo e poi disattivato i telefoni cellulari e le chat attive nell’area. Secondo la fonte “tutte le comunicazioni con l’esterno, incluso lo scambio di foto, vengono monitorate”.
Da molto tempo i tibetani si oppongono ai progetti di sfruttamento del Tibet e accusano i cinesi di attuarli senza chiedere nulla, tanto meno il permesso, ai residenti locali. In passato si sono registrate diverse manifestazioni contro progetti minerari. Lo scorso agosto, centinaia di abitanti hanno bloccato i lavori in tre siti minerari – Atoe, Dzachen, e Chidza – della provincia di Dzatoe, provocando scontri con le forze di sicurezza cinesi che hanno lasciato decine di feriti e portato ad alcuni arresti Il governo tibetano in esilio a Dharamsala sostiene che Pechino “con la scusa dello sviluppo economico e sociale incoraggia la migrazione dei cinesi in Tibet, mettendo i tibetani ai margini della sfera economica, educazionale, politica e sociale”.
Fonti: Radio Free Asia – AsiaNews