14 luglio 2014. La Cina rafforzerà i controlli sui giornalisti e sugli organi di stampa per evitare la diffusione di notizie ritenute sensibili riguardanti sia lo stato sia le attività economiche. E’ questo l’ultimo espediente al quale il governo del presidente Xi Jinping si appresta a ricorrere nel tentativo di imbavagliare la stampa e tacitare ogni commento critico da parte dei mezzi dei media tradizionali e on line.
Gli addetti all’informazione dovranno strettamente controllare tutto il materiale contenente notizie considerate segreti nazionali o economici in possesso dei giornalisti e, allo stesso tempo, verificare la veridicità e le fonti delle notizie che non sono ancora state rese pubbliche. Controlli saranno esercitati sull’Amministrazione Statale della Stampa, delle pubblicazioni, della radio, del cinema e della televisione. Le agenzie giornalistiche dovranno inoltre chiedere ai propri dipendenti di sottoscrivere l’impegno a non divulgare segreti di stato.
“La Cina deve imparare la lezione dal collasso dell’Unione Sovietica, dove ai membri del Partito Comunista fu consentito di esprimere posizioni critiche facendosi in tal modo portatori e megafoni dell’ideologia occidentale così causando la disintegrazione dello stato”: queste le parole di Yao Zengke, un alto funzionario governativo. La lezione della caduta dell’Unione Sovietica è puntualmente ripresa e menzionata dai leader cinesi e dalla stampa di stato ed evidenzia i timori di Pechino circa le minacce che una libera stampa potrebbe arrecare all’autorità del Partito.
Il Presidente Xi Jinping, come altri prima di lui, è convinto che la perdita del controllo potrebbe significare il caos se non la fine del paese. Yao ha affermato che il Partito ha bisogno di disciplina ed ha sottolineato l’importanza di prendere le distanze da quanto avvenuto nell’ex Unione Sovietica in cui ai membri del Partito “fu consentito di esprimere punti di vista diversi da quelli dell’organizzazione statale”.
Tibet
E’ del 9 luglio la notizia del ferimento di una dozzina di tibetani ad opera delle forze di sicurezza cinesi, episodio avvenuto nei pressi del villaggio di Benyul, Contea di Dzoege – Prefettura Autonoma Tibetana di Ngaba. I poliziotti hanno duramente picchiato un gruppo di tibetani intervenuti a difesa di un autista loro compatriota fermato a un posto di blocco. Tra i feriti, alcuni dei quali ricoverati in ospedale, a Chendu, per le gravi lesioni riportate, figurano i due capi villaggio.
La notizia è stata confermata dalla scrittrice e blogger tibetana Woeser. Nel suo blog ha scritto che il 7 luglio, a Benyul, la polizia è intervenuta contro capi villaggio, donne e anziani. Woeser, con il marito Wang Lixiong (nella foto), è stata costretta agli arresti domiciliari alla vigilia dell’arrivo a Pechino del Segretario di Stato Americano John Kerry. Ne ha dato notizia la stessa Woeser nella sua pagina Facebook. “Ero stata invitata a una cena all’Ambasciata americana” – ha scritto Woeser – “e non hanno voluto che incontrassi Kerry”.
“Un evento che incita all’odio, al terrore e all’estremismo”, così la Cina per bocca di Li Decheng, capo dell’Istituto di Studi Religiosi del China Tibetology Research Center ha definito la cerimonia di iniziazione di Kalachakra impartita dal Dalai Lama in questi giorni in Ladak. Decheng ha affermato che la cerimonia è contraria alla purezza, mina i fondamenti del Buddismo ed è usata dai “separatisti” a soli scopi politici.
Il giorno 11 luglio, il Parlamento Tibetano in Esilio ha reso noto, nel corso di una conferenza stampa, di aver chiesto al governo cinese di permettere a una sua delegazione d’inchiesta di visitare il Tibet. “In considerazione del deterioramento della situazione, il 19 giugno abbiamo inviato una lettera al Presidente Xi Jinping chiedendo di consentire a una delegazione parlamentare di visitare il Tibet. Abbiamo inoltre chiesto l’immediata ripresa dei colloqui bilaterali per trovare una soluzione alla questione tibetana”. Dal governo cinese non è finora arrivata alcuna risposta.
Fonti: Phayul – The Tibet Post – Reuters