PECHINO: “E’ IL GOVERNO CENTRALE A CONFERIRE IL TITOLO DI DALAI LAMA”. TIBET: JIGME GURI CONDANNATO A 5 ANNI DI CARCERE

Tib._con_foto_D.L11 settembre 2014. Pechino ha replicato a quanto dichiarato dal Dalai Lama in un’intervista pubblicata il 7 settembre nell’edizione domenicale del quotidiano tedesco Die Welt affermando che “il titolo di Dalai Lama è conferito dal governo centrale che vanta centinaia d’anni di storia”. Nell’intervista il leader spirituale tibetano aveva detto che, dopo quasi cinque secoli, l’istituzione del Dalai Lama potrebbe finire con lui (nella foto: un monaco tibetano regge il ritratto del Dalai Lama durante la celebrazione del Losar – 4 marzo 2014).

“Se un 15° Dalai Lama non fosse all’altezza della sua carica, l’intera istituzione potrebbe cadere nel ridicolo” – aveva affermato Tenzin Gyatso. “Il buddismo tibetano non dipende da un solo individuo, abbiamo una buona organizzazione della quale fanno parte monaci e studiosi altamente qualificati”. Nonostante l’entourage del Dalai Lama abbia fatto sapere che le parole del leader tibetano sono state male interpretate in quanto estrapolate da una più lunga e complessa intervista e che saranno i tibetani a decidere se l’istituzione debba o non debba proseguire, il 10 settembre la signora Hua Chunying, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato che circa l’argomento della reincarnazione dei Budda viventi, compreso il Dalai Lama, la Cina “ha un consolidata procedura religiosa e una tradizione” e ha accusato Tenzin Gyatso di volere cambiare la storia.

“La Cina persegue una politica di libertà di religione e di credo che naturalmente riguarda anche il rispetto e la protezione delle modalità di reincarnazione nel buddismo tibetano” – ha dichiarato la portavoce. “Il titolo di Dalai Lama è conferito dal governo centrale che vanta centinaia d’anni di storia. L’attuale 14° Dalai Lama ha dei fini segreti e cerca di negare e distorcere la storia compromettendo il normale ordinamento del buddismo tibetano”.

Il 5 settembre, un tribunale di Lanzhou, la capitale della provincia del Gansu, ha inflitto cinque anni di carcere a Jigme Guri, il monaco del monastero di Labrang conosciuto anche come Labrang Jigme, sotto l’accusa di “incitamento alla separazione”. Era in prigione dal 20 agosto 2011. Il religioso era stato arrestato la prima volta il 21 marzo 2008 con l’accusa di aver preso parte alle dimostrazioni del 14 marzo. Era stato rilasciato dopo due mesi a causa delle sue condizioni di salute. In carcere aveva subito la tortura. Il 12 settembre 2008, nel corso di un’intervista telefonica con l’agenzia Associated Press, aveva denunciato la brutalità della repressione cinese. La settimana precedente, l’emittente Voice of America, nel corso del programma in lingua tibetana Kunleng, aveva mandato in onda un video in cui Jigme narrava l’esperienza del proprio arresto, le umiliazioni subite per il fatto di essere di nazionalità tibetana e il disumano trattamento dei monaci. Nel video Jigme afferma: “Sono il testimone oculare delle sofferenze dei tibetani, delle torture loro inflitte in prigione. Vi racconto la storia del numero infinito di persone che sono state costrette a fuggire sulle montagne e che ora hanno paura a tornare alle loro case…”

E’ di ieri, 10 settembre, la testimonianza del trattamento disumano riservato ai tibetani detenuti nelle carceri cinesi contenuta in un’intervista rilasciata a Radio Free Asia dal monaco Gonpo Trinley, uscito nel 2010 dalla prigione di Deyang dopo aver scontato i due anni e mezzo di pena inflittagli. Afferma Gonpo che i  45 tibetani detenuti assieme a lui erano “costretti a lavorare ininterrottamente” e che “il cibo era cattivo ed eravamo picchiati frequentemente tanto che molti si ammalavano”. “Non potevamo parlare tra noi”, riferisce Gonpo Trinley, “eravamo costantemente sorvegliati e ci era ordinato di cambiare il nostro modo di pensare”. “E’ stato il peggiore periodo della mia vita, prego e spero di non dover mai subire nulla di simile”.

Fonti: Tibet Sun – Phayul – Radio Free Asia