di Piero Verni
L’altro ieri ho ascoltato in podcast la trasmissione di WikiRadio andata in onda su Rai Radio 3 il 16 ottobre 2014 e dedicata alla Lunga Marcia di Mao di cui ricorreva quel giorno l’80° anniversario. Confesso di essermi sentito trasportare indietro nel tempo, non tanto per il fatto che si parlava di un episodio storico avvenuto tra il 1934 e il 1935 dello scorso secolo ma per l’atmosfera rétro che permeava la forma e il contenuto del racconto curato da Guido Samarani, professore di Storia della Cina e Istituzioni dell’Asia Orientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Era come se fossi tornato, grazie ad un colpo di bacchetta magica radiofonica, al formidabile decennio della mia giovinezza (1968-1978) quando il mito maoista dilagava nelle nostre esistenze di ventenni in rivolta che vedevamo, per dirla con Giorgio Gaber, “… la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre”.
Infatti più che una ricostruzione storica, la trasmissione è stata una acritica, melensa, interminabile esaltazione di Mao e della sua impresa, definita di volta in volta, “uno degli episodi più straordinari della storia della Cina del XX secolo (a 0:52)”, “impresa straordinaria (a 9:10)”, “epopea (a 9:30)”. Non a caso, a sostegno delle sue apologetiche tesi, il professor Samarani ha portato esclusivamente, oltre alle citazioni dello stesso Mao, la testimonianza del giornalista americano Edgar Snow (nato a Kansas City nel 1905 e morto a Ginevra nel 1972) improvvidamente assurto addirittura al rango di “sinologo (a 17:31)”. Il Professor Samarani ha pensato bene di ignorare completamente tutte le testimonianze critiche nei confronti di Mao e della sua impresa che, passata l’ubriacatura degli anni ’60 e ’70 del Novecento, sono apparse numerose sia in ambito storiografico sia giornalistico. E a chi si è invece affidato per raccontarci la “epopea” maoista? Solo alle pagine del libro (definito, ça va sans dire, “splendido” a 14:50) Stella Rossa Sulla Cina (Torino 1977) in cui il cronista statunitense descrisse il leader comunista cinese e la sua rivoluzione in termini apologetici e propagandistici penosamente privi di ogni riferimento critico. Anche il più larvato e leggero. Infatti Edgar Snow, giunto nell’estate del 1936 a Yennan dove Mao aveva stabilito il suo Quartier Generale al termine della Lunga Marcia, fu talmente affascinato dal leader cinese da accettare per vero qualsiasi racconto che gli venne propinato durante i mesi che trascorse a Yennan ospite del Partito Comunista. Nel corso delle numerose interviste che fece sia a Mao sia ad altri esponenti del PCC, Snow anziché essere un testimone imparziale e raccontare dei fatti possibilmente separati dalle sue opinioni, divenne (rimanendolo poi per tutta la sua vita) una sorta di portavoce ufficioso di Mao e delle posizioni comuniste.
Nel periodo in cui Snow si recò, su espresso invito di Mao che voleva una buona pubblicità per la sua causa attraverso un giornalista straniero, a Yennan non vi erano altri corrispondenti che potessero avere informazioni di prima mano su quanto stesse avvenendo in quel remoto angolo della Cina. Così, quando nel 1937 fu pubblicata la prima edizione di Stella Rossa sulla Cina, la testimonianza del giornalista di Kansas City venne accolta acriticamente da stampa e opinione pubblica. Si parlò diffusamente di “scoop del XX secolo” e il testo svolse un ruolo fondamentale nel diffondere una visione angelicata del ruolo del PCC e, in particolare, del suo Grande Timoniere. Lo stesso Mao, in diverse occasioni, sottolineò compiaciuto quanto il libro fosse stato fondamentale per la sua propaganda. Peccato però che, appunto, solo di propaganda si trattasse. Nella loro monumentale biografia del leader cinese, Mao the Unknown Story (versione italiana, “Mao la storia sconosciuta”) la scrittrice Jung Chang e lo storico Jon Halliday spiegano bene come l’opera di Snow non sia altro che un libro scritto consapevolmente per raccogliere simpatie internazionali nei confronti delle posizioni maoiste e del PCC. In particolare, Stella Rossa sulla Cina mente riguardo alla narrazione della Lunga Marcia che andò molto diversamente da come la racconta Snow.
Tra i tanti esempi che si potrebbero portare, forse il più eclatante è quello relativo all’attraversamento del ponte sul fiume Dadu. Questo episodio venne raccontato in termini epici da Snow e una parte della sua narrazione è stata letta nella trasmissione radiofonica di cui sto parlando. “Chi avrebbe mai pensato che i Rossi fossero tanto pazzi da tentare di attraversare servendosi solo delle catene? E invece è proprio ciò che fecero. Si aggrapparono alle catene e cominciarono ad avanzare verso l’opposta parete rocciosa dondolando nel vuoto e portando avanti faticosamente una mano dopo l’altra. Il tutto, mentre dall’altra parte i mitraglieri nemici facevano fuoco in continuazione. Si può ben immaginare quanti ne caddero prima che si riuscisse ad attestarsi al di là del baratro. Comunque non si sa come ma ce la fecero (a 19:25-21-20)”. Che situazione emozionante! Un pugno di eroici combattenti comunisti che, sprezzanti del pericolo, tentano l’impossibile pur di riuscire nella loro impresa nonostante cadano a grappoli sotto l’incalzare del fuoco nemico. Ma che bella immagine. Così beatifica: il Bene che alla fine, nonostante ogni avversità, riesce a prevalere sul Male. Peccato che sia un clamoroso falso storico. Il ponte del fiume Dadu non fu teatro di alcuna carneficina o di atti di eroismo. Leggiamo infatti cosa scrivono Chang e Halliday.
“E’ pura invenzione. Sul ponte Dadu non avvenne alcuna battaglia. Molto probabilmente la leggenda è stata creata per via del luogo stesso: il ponte di catene sospeso sulle acque torbide era perfetto per ambientarvi gesta eroiche. Infatti il 29 maggio, sul ponte non c’era alcun soldato nazionalista quando arrivarono i rossi” (pag. 189). Dopo aver portato numerosi riscontri a sostegno della loro affermazione, i due autori scrivono ancora, “La prova più schiacciante, che confuta completamente il mito della lotta ‘eroica’, poggia sul fatto che non ci furono caduti in battaglia. L’Armata Rossa attraversò il ponte senza contare una sola vittima tra le sue file. L’avanguardia era composta da ventidue uomini che, sempre secondo il mito, si sarebbero gettati sul ponte in un attacco suicida; tuttavia durante una celebrazione che si tenne subito dopo, il 2 giugno, i ventidue non solo erano vivi e vegeti, ma ricevettero ciascuno un abito “alla Lenin”, una penna stilografica, una ciotola e un paio di bacchette. Non vi fu nemmeno un ferito” (pag. 190).
Per confermare la validità di quanto scrivono, Chang e Halliday citano direttamente delle significative fonti del Partito Comunista Cinese. “La guardia del corpo di Chou En-lai raccontò che Chou, addolorato perché un cavallo era finito nel fiume, verificò di persona le perdite umane. ‘Nessun caduto?’ domandò a Yang Cheng-wu, il comandante dell’unità che aveva preso il ponte, il quale rispose: ‘Nessuno’. Di certo, la più incapace difesa avrebbe causato almeno un morto” (pag. 190). Per suffragare la loro tesi gli autori si rifanno anche ad una fonte insospettabile (in un paragrafo che stranamente non compare nella versione italiana del testo). Si tratta di una dichiarazione dello stesso Deng Xiao-ping che nel 1982, parlando dell’attraversamento del ponte di Dadu, pronunciò queste testuali parole: “Beh, questo è il modo in cui l’avvenimento è stato presentato dalla nostra propaganda… In realtà si trattò di una operazione militare molto semplice. Non ci fu molto da fare. Dall’altra parte c’erano solo pochi soldati del Signore della Guerra locale armati di vecchi moschetti e in realtà non si trattò di una impresa eroica ma noi pensammo che sarebbe stato meglio drammatizzarla” (pag. 243 dell’edizione digitale in lingua inglese di Mao the Unknown Story, traduzione mia).
Per quanti non li conoscessero, una breve precisazione riguardo agli autori de “Mao the Unknown Story”. Jon Halliday è un affermato storico internazionale e Jung Chang non solo è una delle principali scrittrici cinesi contemporanee (il suo magistrale Wild Swans è stato tradotto in 37 lingue -ed. italiana “Cigni Selvatici”- e ha venduto oltre 15 milioni di copie) ma è anche figlia di due dirigenti comunisti cinesi di primo piano, cosa che le ha consentito l’accesso a fonti di informazione privilegiate nel corso del suo lavoro.
Tornando alla nostra trasmissione radiofonica, è possibile che nell’ottobre 2014 si possa gabellare il pubblico di un ente statale come Radio RAI facendo passare per verità simili sciocchezze propagandistiche? E’ possibile che nel corso di 30 minuti si sia fatto ricorso esclusivamente a un testo oggi ampiamente screditato mentre si è passata sotto il più assoluto silenzio ogni altra testimonianza su Mao e l’esperienza del comunismo cinese? E’ possibile che si possano far declamare dalla voce stentorea e ispirata dello speaker versi bellicisti di Mao come i seguenti, definendoli esempi di alta poesia? “Risuona il ferro degli zoccoli/suono cieco di trombe nell’aria/passo di eroi/insensato temerlo quasi fosse acciaio/ entro oggi bruciamo il cammino (a 13:13-13-43)”, oppure, “L’armata rossa non teme sofferenze in questa Lunga Marcia/Passare diecimila fiumi, mille montagne non costa nulla (a 26:02-26:10”.
Si può, nell’anno di grazia 2014, essere ancora così preda del mito maoista da ignorare chi fosse realmente il Grande Timoniere? I massacri di cui si è reso responsabile? Le violenze di cui si è macchiato il suo regime? In tutta franchezza non si dovrebbe eppure lo si fa e bisogna ammettere che il professor Samarani non è certo l’unico a continuare a rifiutarsi di leggere Mao e la sua vicenda politica alla luce delle verità storiche e non a quella di una appassita propaganda. In Italia (non solo, ma forse qui con una ampiezza maggiore che in altre nazioni) il mito di Mao è ancora vivo e lotta insieme a noi. Nulla è in grado di abbattere la Turris Eburnea di un pregiudizio ideologico che continua testardamente a considerare la Lunga Marcia una “epopea” portata avanti da un manipolo di puri eroi dediti esclusivamente al riscatto e alla liberazione del loro Paese e del loro popolo. E infatti nella trasmissione di WikiRadio non ci si è fatti mancare nemmeno la puntigliosa esposizione del catechismo maoista relativo ai rapporti con le popolazioni con cui l’Armata Rossa entrava in contatto salvo poi dover ammettere che, chissà per quale mistero, queste popolazioni le erano per lo più ostili (“Molti dei caduti della Lunga Marcia vennero uccisi in combattimento, dalle truppe governative, dalle truppe locali, dalle popolazioni che spesso guardavano con paura ed ostilità a questi nuovi venuti nei loro territori, a 12:05-12:18)”. Con un rigore realmente degno di miglior causa, il professor Samarani ha voluto rendere chiaro, caso mai qualche ascoltatore non lo avesse ancora capito, che i soldati comunisti erano dei veri angeli in divisa dal momento che si attenevano scrupolosamente ai seguenti precetti: “1°) rimetti a posto tutte le porte quando lasci una casa; 2°) Restituisci arrotolata la stuoia di paglia su cui hai dormito; 3°) sii cortese e gentile con la gente e aiutala quando puoi; 4°) restituisci tutti gli oggetti avuti in prestito; 5°) riacquista gli oggetti che hai danneggiato; 6°) sii onesto in tutti gli scambi con i contadini; 7°) paga tutto ciò che compri; 8°) osserva l’igiene e soprattutto sistema le latrine a debita distanza dalle case; (a 18:23-19:07) ” e con un tocco mirabile di precisione, lo speaker ci avverte che in realtà solo i primi sei di questi precetti sono farina del sacco di Mao, gli ultimi due sono frutto dell’ingegno del maresciallo Lin Biao. Quando si dice l’accuratezza della testimonianza!
Liricamente la trasmissione si avvia ad accomiatarsi dall’ascoltatore con questo lieve e sommesso paragone, “C’è chi, amante dei raffronti, parlando della Lunga Marcia e della sua drammaticità, ricorda l’Anabasi di Senofonte, la marcia di Annibale attraverso le Alpi o la ritirata di Napoleone dalla Russia; (a 25:21-25-36)”. Peccato che a volerla, a guidarla e a portarla a termine non sia stato il savio Presidente che ci ha raccontato Rai Radio 3 il 16 ottobre 2014, ma un ben diverso personaggio la cui effettiva caratura è stata tenuta ben nascosta agli ascoltatori della puntata di WikiRadio. E’ stato, per dirla con l’incipit del libro di Jung Chang e Jon Halliday, quel Mao Tse-tung “… che per decenni esercitò il potere assoluto sulla vita di un quarto della popolazione mondiale e si rese responsabile della morte di oltre 70 milioni di persone, più di qualsiasi altro leader del XX secolo”.
Una Lunga Marcia, certamente. Ma ancor più, una lunga bugia.
Piero Verni