23 marzo 2015. International Campaign for Tibet ha reso pubblico il 20 marzo un rapporto in cui prende in esame i casi di venti tibetani sopravvissuti all’autoimmolazione con il fuoco. Il documento, intitolato “I sopravvissuti tibetani: repressione e scomparsa”, rivela che quanti non hanno trovato la morte hanno subito indicibili sofferenze fisiche e psicologiche.
A distanza di anni, alcune delle famiglie degli eroi tibetani ancora non sanno se i loro congiunti sono vivi o morti. Gli amici e i famigliari degli autoimmolati, a volte assieme a intere comunità, sono stati puniti o arrestati perché ritenuti responsabili di averli incitati o aiutati a portare a compimento il loro atto estremo: almeno 90 tibetani sono scomparsi o sono stati arrestati in Tibet perché ritenuti coinvolti in casi di autoimmolazione. Un’informativa resa pubblica nel 2012 dai media di stato cinesi ha reso noto che i tibetani ritenuti in grado di “influenzare” o anche solo presumibilmente “intenzionati” a spingere una persona ad autoimmolarsi possono essere accusati di omicidio.
Afferma il rapporto di ICT: Sappiamo che sono venti i tibetani con certezza sopravvissuti all’autoimmolazione in Tibet. Tre sono sopravvissuti in esilio. Coloro che si sono salvati sono stati confinati in isolamento e la loro sorte è stata tenuta segreta. Alcuni hanno fatto ritorno a casa ma nella maggior parte dei casi le loro famiglie, anche a distanza di anni e nonostante i numerosi appelli rivolti alle autorità locali e alla polizia, non sanno nemmeno se sono vivi o morti.
Alcuni tibetani non solo sono stati maltrattati ma non hanno ricevuto le cure mediche necessarie: a Tapey, il monaco del monastero di Kirti immolatosi nel 2009 e ferito con colpi di fucile dopo essersi dato fuoco, sono state negate le necessarie cure mediche anche durante il periodo in cui fu trattenuto in custodia. Un altro monaco di Kirti, Lobsang Kunchok, patì grandi sofferenze in ospedale “perché i medici e le infermiere lo consideravano un nemico nazionale”. Il rapporto prende anche in esame i casi di quattro tibetani sopravvissuti all’autoimmolazione ma sottoposti, una volta ricoverati all’ospedale, all’amputazione delle gambe. ICT si interroga sulla reale necessità di queste amputazioni: sembra, ad esempio, che a Sungdue Kyab, tornato a casa dopo due anni, siano state amputate entrambe le gambe in seguito alla grave infezione sopravvenuta per la mancanza di appropriate cure mediche. I alcuni casi, alle ustioni procurate dalle fiamme si sono aggiunte le percosse inflitte dalla polizia agli autoimmolati una volta spento il fuoco.
Alcuni tibetani sopravvissuti sono stati filmati e sono comparsi in video propagandistici: nel maggio 2012 la televisione di stato ha mandato in onda un documentario in cui 13 tibetani sopravvissuti al tentativo di immolazione esprimono pentimento per la loro azione. Alcuni, tuttavia, pur sotto la pressione del momento, si limitano a parlare delle loro condizioni fisiche.
Il rapporto di ICT, completo dei casi dei 20 sopravvissuti al sito:
http://www.savetibet.org/newsroom/tibetan-survivors-of-self-immolation-repression-and-disappearance/