9 aprile 2015 (askanews). La Cina cerca di rafforzare ulteriormente il suo controllo sul Tibet. Il numero uno del Partito comunista cinese nella provincia autonoma, Chen Quanguo, ha esplicitato in un articolo pubblicato ieri sul Quotidiano del Popolo, una nuova politica che riguarderà i monasteri buddisti, cuore pulsante della cultura tibetana, che dovranno avere una bandiera rossa cinese e che dovranno far sfoggio di “patriottismo” e aderenza ai valori nazionali cinesi.
Chen ha affermato che il partito approfondirà le sue “attività di valutazione” per garantire “monasteri modello armoniosi” e “monaci e monache patriottici e rispettosi della legge”. Non è chiaro quali saranno i parametri di questa valutazione, ma di solito i termini “patriottico” e “armonioso” indicano il rispetto delle direttive provenienti dalle autorità politiche cinesi. D’altronde Chen è chiaro quando dice che lo scopo è quello di far sentire a monaci e monache “il calore e la cura del partito e del governo”.
Il Tibet è uno dei punti caldi nei quali la Cina deve affrontare il separatismo. Molti tibetani accusato il governo di repressione religiosa e diversi monaci restano fedeli al Dalai Lama, il leader spirituale tibetano in esilio in India. Nel 2008, poco prima delle attese Olimpiadi di Pechino, nel Tibet si sono verificate diverse proteste anti-governative, originate proprio nei monasteri. Inoltre, dal 2009, oltre 130 membri della minoranza tibetana, spesso monaci, si sono dati fuoco.
Tutti i monasteri, secondo Chen, dovranno essere equipaggiati con “bandiere nazionali, collegamenti telefonici, quotidiani e sale lettura”. Inoltre dovranno essere costruite strade per collegare i monasteri, i quali spesso sorgono in località remote. I monaci dovranno essere “educati al patriottismo”.
Chen, considerato un falco, nel 2013 ha promesso di garantire che la “voce” del Dalai Lama “non sarà più sentita” nella regione.
E’ del 3 aprile la notizia, arrivata in forte ritardo a causa delle difficili comunicazioni, che nel corso del 2014 le autorità cinesi hanno espulso oltre cento tra monaci e monache dai rispettivi monasteri. Cinquantatré religiosi sono stati allontanati da tre diversi monasteri della Contea di Driru e cinquanta monache sono state espulse dal monastero di Golung, nella stessa Contea (nella foto il monastero delle monache, Contea di Driru). Secondo le autorità i nomi delle religiose non erano comparivano nelle liste di registrazione del Comitato Governativo di Gestione del monastero previste dalle disposizioni delle autorità cinesi. Non si conoscono i loro nomi e la loro sorte. Gli istituti religiosi della Contea di Driru (Regione del Kham) sono stati oggetto di severi controlli in seguito al rifiuto dei monaci e delle monache di sottostare alle cinque norme di educazione patriottica emanate dalle autorità: opporsi alla richiesta di indipendenza del Tibet, denunciare il Dalai Lama, riconoscere il Panchen Lama nominato dai cinesi, denunciare coloro che chiedono l’indipendenza del paese e adoperarsi per l’unità della “madrepatria”.