Di Paolo Crecchi
7 dicembre 2015
La Stampa
«Bisogna dialogare anche con l’Isis». Il Dalai Lama porge il suo ramoscello d’ulivo al mondo da Bangalore, la capitale indiana del software e mondiale dei call center, dove ieri la Camera di commercio arabo-asiatica ha organizzato un convegno dai toni molto pratici, Peace for Economy. Terrorismo e affari sono incompatibili e la massima autorità del buddismo tibetano ha riconosciuto che lo sviluppo, rispettoso dell’uomo e dell’ambiente, è un ottimo antidoto al fondamentalismo religioso.
Santità, lei ha detto che il nemico è sconfitto quando diventa nostro amico.
«Vero! Verissimo!».
Vuole Sua Santità spiegare come si fa a diventare amici dell’Isis?
«Con il dialogo. Bisogna ascoltare, capire, avere comunque rispetto dell’altro. Non c’è altra strada».
L’Isis taglia le teste. Senza la testa, non ci sono più le orecchie per ascoltare.
«Bisogna farlo con il cuore. Essere compassionevoli. Educare. La Germania è stata molto generosa ad accogliere i rifugiati, li sfama e li veste: ma adesso dovrà educarli».
Perché possano essere assimilati dall’Europa?
«Perché possano tornare indietro! Se non loro, i loro figli. Devono tornare con le conoscenze e le abilità per cambiare il Paese d’origine, perché non ci siano altri fuggiaschi e altri rifugiati. Questa è l’unica soluzione».
Santità, l’Europa ha paura anche dell’Islam pacifico. Teme di perdere i suoi valori fondanti che sono la libertà, l’uguaglianza, la parità fra uomo e donna: la sharia, che un giorno potrebbe essere democraticamente applicata, non li accetta.
«Ogni uomo ha una sua religione e una sua verità, ma in una comunità ci devono essere tante religioni e tante verità. L’islam è una religione di pace, gli intolleranti danneggiano il proprio credo e i propri fratelli».
Perdoni, Santità: le religioni raramente portano pace. Più spesso provocano guerre, lutti, miseria.
«Un giorno Dio incontrerà i capi spirituali e chiederà: perché vi siete combattuti? Io non vi avevo chiesto questo».
Un giorno, ma oggi? Lei ha detto che pregare non basta.
«Non serve! Dio potrebbe rispondermi: perché mi preghi per far cessare il male? Non l’ho commesso io. Non lo commetto io. Lo stai commettendo tu e devi essere tu a riparare».
In India, a pochi chilometri dalla capitale New Delhi, un musulmano è stato ucciso da fanatici induisti perché sospettato di conservare carne di mucca nel frigorifero.
«La vita umana è più preziosa di un animale sacro».
Nel Myanmar, sono i buddisti a perseguitare i musulmani.
«Io non ho contatti con loro, ma nessuno deve perseguitare nessuno. Ognuno di noi è responsabile dell’armonia universale».
C’è anche la realpolitik. Persino papa Francesco non ha voluto ricevere Sua Santità, temendo per la sorte dei preti cinesi.
«Non ha nessuna importanza».
Il Vaticano, in Cina, ha anche un ingente patrimonio immobiliare.
«Non ne so niente: certo, quei vescovi che vivono nel lusso!».
A suo tempo, le autorità italiane la ricevettero quasi di nascosto in ossequio alla medesima realpolitik. Ricorda? C’era Bertinotti presidente della Camera…
«Non posso ricordare, ma avranno avuto le loro ragioni. Io non ho mai voluto mettere in difficoltà nessuno».
Fino al 2011 lei era il capo del governo tibetano, sia pure in esilio. Poteva influire maggiormente sui destini del mondo, o almeno in quelli del suo popolo: perché ha voluto lasciare?
«Io credo che un’autorità spirituale sia più libera se può occuparsi dello spirito. L’ho fatto anche per chi verrà dopo di me».
Una donna, si è augurato.
«Sono più sensibili di noi uomini, hanno maggiori capacità di compassione. Lo riconoscono anche gli scienziati: è un valore aggiunto di origine biologica».
Tuttavia, lei ha aggiunto di sperare che la Dalai Lama sia anche molto bella.
«Siiii! Bellissima. Il futuro Dalai Lama deve essere affascinante… Mica come me, no?».
Le piace scherzare, complimenti.
«Lo trovate strano?».
Herman Hesse diceva che l’umorismo è la via di fuga per chi vorrebbe vivere nell’assoluto, ma non ne ha i mezzi.
(Non risponde. Sorride, ironicamente).
Di Paolo Crecchi
7 dicembre 2015
La Stampa