28 dicembre 2014. Il parlamento cinese ha approvato ieri una nuova e discussa legge antiterrorismo che obbliga le aziende tecnologiche a fornire al governo tutte le informazioni ritenute “sensibili”, quali le chiavi di crittografia per decifrare i messaggi criptati, e che consente all’esercito di intervenire fuori dal paese per contrastare il terrorismo.
I funzionari statali cinesi ritengono che il paese, soprattutto nella regione occidentale dello Xinjiang, sia sempre più minacciato da movimenti separatisti. Dopo l’approvazione delle legge, Li Shouwei, vicepresidente della divisione sulle leggi criminali del parlamento, ha affermato che la Cina, chiedendo la collaborazione delle aziende tecnologiche, sta semplicemente attuando ciò che altre nazioni occidentali hanno già posto in essere. Ha aggiunto che il provvedimento non metterà a rischio il normale lavoro delle compagnie del settore che non perderanno i diritti di proprietà intellettuale. Preoccupate le reazioni dell’occidente alla legge: sono stati infatti espressi timori circa l’impatto della nuova norma sui rispetto dei diritti umani, soprattutto sulla libertà di parola. Il presidente USA Barack Obama ha detto di avere già manifestato i suoi dubbi direttamente al presidente Xi Jinping.
La legge appena varata impone inoltre ai mezzi di informazione di non divulgare dettagli riguardanti azioni terroristiche o mostrare immagini “crudeli o inumane” che potrebbero causare fenomeni imitativi. Permette inoltre all’Esercito di Liberazione del Popolo di impegnarsi in operazioni antiterrorismo fuori dal paese. Esperti di diritto internazionale sottolineano tuttavia i problemi pratici e diplomatici che Pechino dovrebbe affrontare se volesse attuare questa direttiva.
Il 26 dicembre è giunta notizia che la corrispondente a Pechino del settimanale francese L’Obs, Ursula Gauthier, dovrà lasciare la Cina entro la fine dell’anno perché le autorità hanno rifiutato di rinnovare il suo visto. A Pechino da sei anni, la giornalista è stata vittima di una violenta campagna sui media di Stato dopo un suo articolo in cui lasciava intendere che la Cina stesse usando gli attentati di Parigi per giustificare una campagna di repressione contro gli uiguri nello Xinjiang, l’enorme regione a stragrande maggioranza musulmana nella parte occidentale del Paese.
Confermando l’imminente espulsione, il governo di Pechino ha spiegato – con una nota apparsa sul sito del ministero degli Esteri – che la giornalista ha “sostenuto in modo evidente atti di terrorismo e atti di crudele omicidio di persone innocenti, scatenando l’indignazione del popolo cinese”. Le autorità cinesi, ha raccontato la giornalista, avrebbero voluto le sue pubbliche scuse e che si dissociasse dalle ONG che avevano denunciato, attraverso il suo caso, “gli attentati alla libertà di espressione in Cina”. L’Obs, che dall’ottobre 2014 non si chiama più Le Nouvel Observateur, si è schierato a fianco del suo corrispondente, sostenendo che l’espulsione, in un momento in cui la Francia e la Cina rafforzano i propri legami economici, culturali e diplomatici, è un “grave incidente”. Il ministero degli Esteri francese si è limitato a lamentare, in una nota, il mancato rinnovo del visto, ricordando “quanto sia importante che i giornalisti possano lavorare ovunque nel mondo”.
Fonti: Tibet Sun-Reuters – RaiNesw.it