9 maggio 2016. E’ giunta conferma di un nuovo caso di autoimmolazione in Tibet. Sonam Tso, una donna di circa cinquant’anni anni madre di sei figli, si è data la morte con il fuoco lo scorso 23 marzo a Dzoege nella prefettura autonoma di Ngaba.
A causa delle difficili comunicazioni, la notizia della morte di Sonam Tso (nella foto), circolata alla fine del mese di marzo ma mai confermata, è stata fornita da Tibet Watch solo il 7 maggio. La donna ha portato a compimento il suo gesto di protesta nelle vicinanze del monastero di Sera attorno al quale la nuova eroina tibetana stava camminando assieme al marito. Dopo avergli chiesto di proseguire da solo assicurandolo che l’avrebbe raggiunto nel giro di pochi minuti, Sonam si è data fuoco invocando ad alta voce il ritorno del Dalai Lama e libertà per il Tibet. Un monaco ha udito le sue grida e assieme al marito della donna ha cercato di spegnere le fiamme. Con l’aiuto di un altro monaco, di nome Tsultrim, zio di Sonam, il suo corpo è stato provvisoriamente portato all’interno del monastero ma la donna è deceduta prima dell’arrivo dell’auto che l’avrebbe portata in ospedale. Tsultrim, arrestato con l’accusa di diffuso la notizia della morte della nipote, è stato rilasciato dopo una settimana di prigione e costretto a cancellare dal suo cellulare la fotografia di Sonam avvolta dalle fiamme. Sale a 145 il numero dei tibetani immolatisi all’interno del Tibet occupato. Due sono le autoimmolazioni avvenute nel 2016: prima di Sonam si era dato la morte con il fuoco, il 29 febbraio, a Kardze, il monaco diciottenne Kalsang Wangdu. Continuano in Tibet le proteste e la repressione. Il 2 maggio, a Ngaba, un giovane monaco tibetano di nome Thubten ha percorso l’ormai tristemente nota “strada dei martiri” reggendo un ritratto del Dalai Lama. E’ stato subito arrestato dalla polizia e non si hanno sue notizie. Il 4 maggio oltre cento tibetani hanno dato vita a una manifestazione di protesta nelle vicinanze del monte Minyak Gankar, non lontano dalla città di Dhartsedo, nella regione del Kham, denunciando il proliferare incontrollato dello sfruttamento delle risorse minerarie della zona e il conseguente inquinamento ambientale. Al grido di “non esistono leggi per il partito comunista” hanno mostrato la quantità di pesci morti in seguito al riversamento di sostanze tossiche nelle acque del fiume locale. E’ di oggi la notizia che Lobsang Jamyang, un monaco-scrittore di 28 anni, è stato condannato dalle autorità cinesi di Ngaba a sette anni e mezzo di carcere. Conosciuto col “nome de plume” di Lomik, era stato arrestato il 17 aprile 2015 e detenuto per oltre un anno senza processo e senza che i suoi famigliari fossero stati informati. Nell’ennesimo tentativo di screditare il governo tibetano in esilio, il 5 maggio un portavoce del governo di Pechino ha affermato che “la cosiddetta Amministrazione Centrale Tibetana non gode di alcuna popolarità all’interno del Tibet” e che la rielezione di Lobsang Sangay a capo dell’esecutivo tibetano “è una farsa politica”. “Il cosiddetto governo tibetano in esilio è illegale, nessun paese o governo riconosce questa organizzazione”.
Fonti: Tibet Watch – Phayul