25 maggio 2016. Centinaia di tibetani del distretto amministrativo di Khanya, nella Contea di Drakgo, regione del Kham, hanno firmato una petizione in cui si chiede al governo di migliorare le disagiate condizioni di vita della popolazione locale.
A dispetto della cosiddetta prosperità economica vantata dalla Cina, le comunità rurali denunciano infatti un aumento del degrado e della povertà. I tibetani di Khanya lamentano la totale assenza, a partire dal 2008, di ogni tipo di intervento governativo volto a migliorare le condizioni economiche e i servizi della regione. Sottoscrivendo una petizione collettiva, centinaia di tibetani chiedono un intervento immediato nei settori del trasporto pubblico, della fornitura elettrica e idrica, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione. Il collasso delle strade durante la stagione delle piogge e la chiusura dei passi di montagna dopo le invernali tempeste di neve, bloccano gli abitanti dei villaggi con conseguente carenza nell’approvvigionamento di cibo.
Inoltre, a causa della scarsità di acqua e di elettricità, delle difficili comunicazioni e del cattivo funzionamento dei mezzi di trasporto, gli insegnanti abbandonano le classi. Fonti tibetane riferiscono a Tibet Post International che la sola scuola del distretto è “una casa vuota”. Nessun provvedimento da parte del governo locale che ha invece dato inizio a incontrollati lavori di deforestazione causa di erosione del suolo e di dispersione delle acque.
Circa la situazione dei diritti umani all’interno del Tibet, un dettagliato rapporto di 86 pagine pubblicato il 20 maggio da Human Rights Watch evidenzia l’aumento della repressione nel paese da parte delle autorità cinesi in attuazione della campagna denominata “Sistema di Mantenimento della Stabilità”. Prendendo in esame 479 casi di arresti avvenuti nel biennio 2013-2015, il rapporto denuncia l’avvenuto incremento del controllo sulla società tibetana, soprattutto nelle aree rurali, e l’aumento dei processi e delle condanne formulate nei confronti di quanti hanno pacificamente espresso il loro dissenso. Si legge nel rapporto che “molti dei tibetani arrestati e processati erano leader delle comunità locali, attivisti per la difesa dell’ambiente, persone dedite ad attività sociali e culturali, scrittori e cantanti”.
Dei 479 arrestati, 153 sono stati processati e condannati a pene detentive di una durata media di 5 anni e 7 mesi. “Tra coloro che hanno subito le pene detentive più lunghe figurano coloro che hanno cercato di portare aiuto alle vittime delle autoimmolazioni, i leader delle proteste contro gli sfruttamenti delle risorse minerarie e i progetti governativi e gli organizzatori delle proteste contro le decisioni impopolari prese dai funzionari locali”. La detenzione dei leader dei villaggi e il sostegno loro fornito dalle rispettive comunità di appartenenza che ne chiedono con determinazione il rilascio sembrano rappresentare un nuovo aspetto dell’opposizione al regime. In nome del “Mantenimento della Stabilità”, oltre 10.000 agenti di polizia sono stati dislocati nei villaggi dell’Amdo ed è aumentata la sorveglianza anche nei villaggi e nei monasteri della cosiddetta Regione Autonoma al fine di facilitare le operazioni di propaganda e sicurezza. Ciò ha portato a nuove proteste e a conseguenti più dure carcerazioni.
Fonti: The Tibet Post – Human Rights Watch