12 maggio 2017. Una delegazione parlamentare USA guidata dalla leader democratica di minoranza Nancy Pelosi e dal repubblicano Jim Sensenbrenner è stata ricevuta a Dharamsala dal Dalai Lama e da Lobsang Sangay, Primo Ministro dell’esecutivo tibetano in esilio.
Gli otto membri della delegazione, che comprendeva i parlamentari Eliot Engel, Jim McGovern, Betty McCollum, Judy Chu, Joyce Beatty e Pramila Jayapal, sono arrivati a Dharamsala il giorno 9 maggio. Ricevuti dal Dalai Lama nella sua residenza, si sono poi recati presso la sede del governo tibetano in esilio e hanno visitato il Tibetan Children’s Village.
L’incontro dei membri del Congresso con il leader spirituale tibetano e i rappresentanti dell’Amministrazione Centrale Tibetana è culminato il 10 maggio, alla presenza di centinaia di tibetani festanti, con una grande cerimonia di benvenuto organizzata presso lo Tsuglakhan, il principale tempio di Dharamsala (nella foto). Nel suo discorso Nancy Pelosi, da anni vicina alle istanze del popolo tibetano, ha affermato che i membri della delegazione intendono adoperarsi per la ripresa del dialogo da anni interrotto tra il governo cinese e i rappresentanti del governo tibetano in esilio e battersi per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente in Tibet.
“Alcuni cinesi ritengono inconcepibile l’idea di un Tibet autenticamente autonomo ma per noi questa opzione è del tutto inevitabile”, ha tra l’altro detto la rappresentante democratica. “Dobbiamo ridurre la distanza tra ciò che per loro è inconcepibile e ciò che per noi è inevitabile. Sono certa che grazie alla vostra devozione, al vostro impegno, all’attaccamento ai valori della vostra cultura, lingua, religione e con la guida di Sua Santità il Dalai Lama riuscirete nel vostro intento”.
Prevedendo le reazioni cinesi all’incontro con la delegazione USA, il Dalai Lama ha detto che la visita non doveva essere considerata un atto di ostilità nei confronti di Pechino. “Non dobbiamo considerare la Cina un nemico, la difficile situazione esistente in Tibet è un problema per entrambi e come tale deve essere affrontata. L’uso della forza porta solo incomprensione e paura. Senza armonia il problema non può trovare una soluzione”.
Nonostante le parole di distensione, Pechino ha risposto alla visita con una formale protesta diplomatica. Il ministro cinese degli Affari Esteri, Geng Shuang, ha così dichiarato: “La visita di una rilevante delegazione del Congresso degli Stati Uniti per incontrare il Dalai Lama ha mandato un segnale molto forte al mondo riguardo all’indipendenza del Tibet e va contro le promesse statunitensi sulla questione tibetana. La Cina si oppone fermamente a questo incontro e ha inviato una solenne rimostranza agli U.S.A.” “Chiediamo alle massime autorità politiche del Congresso americano di trattare con la massima cura la questione del Tibet, ponendo fine a tutte le comunicazioni con il Dalai Lama e prendendo misure urgenti per gestire l’impatto negativo della visita”.
L’ultimo caso di autoimmolazione in Tibet
L’ultimo tibetano a cercare la morte con il fuoco in segno di protesta contro l’occupazione cinese è uno studente di soli 16 anni, Chagdor Kyab, di Bora, una cittadina della Prefettura Autonoma Tibetana di Kanlho, nella Regione dell’Amdo. Il giorno 2 maggio si è cosparso di benzina e si è dato fuoco nelle vicinanze del monastero di Bora gridando “Il Tibet vuole la libertà” e “Lunga vita al Dalai Lama”. Avvolto dalle fiamme, il ragazzo ha cercato invano di correre verso gli uffici governativi. Caduto a terra, è stato immediatamente circondato dagli agenti di polizia che hanno spento il fuoco con gli estintori e hanno portato via il suo corpo. Non si conosce ancora la sua sorte ma si teme che non sia sopravvissuto.
Riferisce Radio Free Asia che ai genitori Chagdor Kyab è stato impedito di celebrare il rito funebre e che agli amici e parenti è stato vietato di rendere visita alla famiglia. Tutte le linee di comunicazione, incluso Internet, sono state interrotte nel tentativo di impedire la diffusione della notizia. Sale a 149 il numero dei tibetani che dal 2009 hanno cercato la morte con il fuoco all’interno del Tibet occupato.
Fonti: Phayul – The Tibet Post – Radio Free Asia