La Cina al primo posto per le limitazioni alla libertà nell’uso di Internet

Freedom-House-China-Profile-201716 novembre 2017. Il rapporto pubblicato da Freedom House e intitolato Freedom of the Net 2017 mette la Cina al primo posto tra i paesi che limitano la libertà di uso e accesso a Internet.

Freedom House, l’organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani, pubblica ogni anno un rapporto che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese. Il rapporto 2017 sulla libertà di Internet nel mondo colloca per la terza volta la Cina al primo posto per la violazione di tale libertà. Il rapporto è stato compilato sulla base di uno studio comparato della situazione relativa a Internet in 65 paesi del mondo valutati in relazione a tre parametri: gli ostacoli all’accesso, la limitazione dei contenuti e la violazione dei diritti degli utenti.

Con un punteggio di 87 punti su 100 la Cina figura al primo posto per le restrizioni all’uso della rete dovute in parte allo scarso sviluppo delle infrastrutture statali nel settore delle telecomunicazioni ma soprattutto alla legge sulla cyber security promulgata nel novembre 2016. In base a questa legge gli operatori della rete devono registrare l’identità degli utenti cinesi di Internet e passare queste informazioni al governo. Anche i contenuti della rete sono oggetto di controllo e manipolazioni: la Cina si avvale di centinaia di migliaia di operatori per sorvegliare, censurare e manipolare i contenuti dei siti online. Argomenti quali le critiche al governo e alle sue direttive politiche, la situazione dei diritti umani, i dibattiti sulla democrazia sono oscurati, eliminati o severamente condannati.

Nel corso dell’ultimo anno è cresciuto in Cina il numero delle persone arrestate per aver condiviso notizie o resoconti ritenuti sensibili. Numerosi attivisti e blogger sono stati processati e incarcerati per i loro interventi on line su argomenti diversi quali il sostegno al Dalai Lama o le critiche a Xi Jinping. Le pene per chi parla male del regime o chiede maggiore democrazia possono variare da cinque giorni a undici anni di carcere. In alcuni casi il governo ha bloccato l’intero sistema di comunicazioni: un blackout totale è stato ad esempio imposto a Kardze, nel Tibet orientale, dopo un caso di autoimmolazione in segno di protesta contro il regime oppressivo di Pechino. Nell’ottobre 2017 sette tibetani sono stati arrestati per aver diffuso tramite WeChat immagini video di un’autoimmolazione. Il controllo esercitato su WeChat è capillare e sofisticato: dopo la morte di Liu Xiaobo, gli utenti si sono accorti che tutte le immagini che ritraevano sia lui sia Liu Xia, sua moglie, erano state rimosse. Similmente, le immagini inviate tramite SMS non sono mai arrivate ai destinatari.

Freedom of the Net 2017 colloca Stati Uniti, Estonia, Canada e Islanda tra i paesi con maggiore libertà nell’uso di Internet. Tra i peggiori, oltre alla Cina, figurano la Siria e l’Etiopia.

Fonti: Tibet Post International – Freedom House