6 dicembre 2017. In un articolo pubblicato il 1°dicembre, Tibet Journal riferisce che il Dalai Lama avrebbe rinunciato a recarsi in visita all’estero avendo in sua vece conferito il compito a due emissari incaricati di parlare a suo nome in occasione di eventi internazionali.
Lo stesso Dalai Lama rivolgendosi il 1° dicembre a un gruppo di giovani avrebbe avvalorato queste voci ammettendo il passare degli anni e la crescente stanchezza. “Ho 82 anni e da un anno a questa parte il mio senso di stanchezza è notevolmente aumentato”, ha dichiarato il leader religioso tibetano. Suoi emissari ufficiali il primo ministro in carica, Lobsang Sangay e l’ex primo ministro Samdhong Rinpoche “amici fidati che bene comprendono il mio pensiero”. “Il nostro impegno internazionale deve proseguire in modo ancora più attivo e concreto grazie all’impegno di queste due persone”. E ancora, parlando ai giornalisti dopo il suo incontro a New Delhi con l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il Dalai Lama ha dichiarato che non si recherà più negli USA a causa delle sue condizioni fisiche. Circostanza confermata anche dal fatto che al momento il sito web ufficiale del Dalai Lama non fa menzione di alcun prossimo viaggio all’estero di Sua Santità.
Da Washington, Penpa Tsering, ex rappresentante dell’Amministrazione Centrale Tibetana presso l’Ufficio del Tibet aveva recentemente dichiarato: “Non è un discorso generico, Sua Santità è talvolta troppo stanco per affrontare un viaggio. La visita negli Stati Uniti in programma per l’aprile del prossimo anno è stata sospesa a tempo indeterminato. Certamente continuerà a viaggiare in India e a recarsi in Europa, distante solo sette ore di volo”.
Ha suscitato stupore e sconcerto l’articolo intitolato “Il Dalai Lama vuole tornare a casa” pubblicato in data 4 dicembre sul sito The Wire dall’accademico e diplomatico indiano P. Stobdan. Avvalorando le voci circolanti sui social media, Stobdan riferisce che a metà novembre il Dalai Lama avrebbe inviato in forma riservata Samdhong Rimpoche a Kunming, in Cina. La visita sarebbe stata facilitata da You Quan, il nuovo capo del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro incaricato degli affari tibetani e strettamente legato al presidente Xi Jinping. Nonostante non siano state diramate notizie ufficiali sulla vista, l’articolo asserisce che Pechino avrebbe gradito la nomina dei due emissari e la decisione del Dalai Lama di ridurre i suoi viaggi all’estero. “Come condizione per la ripresa dei colloqui, Pechino ha chiesto imperiosamente al Dalai Lama di porre fine ai suoi viaggi nelle capitali occidentali. Nel corso del 19°Congresso del Partito, il capo del Tibet Work Forum ha dichiarato alla stampa che i leader internazionali non sono scusabili per i loro incontri con il Dalai Lama che, recentemente e adducendo come motivazione una ‘spossatezza’ fisica, ha perfino cancellato la programmata visita in Botswana”.
L’articolo suggerisce inoltre che la visita in Cina di Samdhong Rinpoche rientra nel piano quinquennale dell’Amministrazione Centrale Tibetana per la soluzione del problema tibetano mentre i viaggi all’estero compiuti nello stesso periodo dal presidente Lobsang Sangay hanno avuto come obiettivo, ove necessario alla causa, il sostegno del movimento internazionale alla lotta tibetana per i prossimi cinquant’anni. La linea politica denominata “Five-Fifty”, annunciata per la prima volta dal primo ministro tibetano nel suo discorso del 10 marzo 2017, è infatti stata approvata dall’Amministrazione Tibetana. Secondo Stobdan, la speranza nella ripresa del dialogo tra la dirigenza cinese e gli emissari del Dalai Lama potrebbe avere qualche fondamento alla luce di due importanti considerazioni: da un lato, il desiderio di Xi Jinping di risolvere la questione tibetana mentre il Dalai Lama è ancora in vita al fine di assicurarsi credibilità e prestigio politico; in secondo luogo, lo stesso leader spirituale tibetano ha recentemente definito il presidente cinese un leader “realistico” e “di mente aperta”, ammettendo di aver ricevuto “segnali positivi” da alcuni alti funzionari cinesi, soprattutto militanti nell’area moderata del partito.
Ogni congettura è possibile ma solo i fatti diranno se dopo dieci infruttuosi tentativi di dialogo e il sacrificio di oltre 150 tibetani qualcosa potrà cambiare nel futuro del Tibet.
Fonti: The Tibet Journal – thewire.in