18 dicembre 2017. Con l’intento di contrastare l’autorità religiosa del Dalai Lama la Cina, dal 2007, ha riconosciuto e provveduto all’istruzione monastica di 60 “Buddha viventi” di età inferiore ai dieci anni.
E’ del 12 dicembre la notizia pubblicata da Tibetan Review che la Cina dal 2007 ha riconosciuto le reincarnazioni di 1.300 “Buddha viventi” dei quali 60 sotto i dieci anni d’età. L’intento è chiaramente quello di crescere dei giovani religiosi fedeli alle direttive del partito. Nel 2016 le autorità cinesi hanno lanciato un articolato sistema informativo, pubblicato nel sito web dell’Associazione dei Buddhisti Cinesi, che fornisce dettagliate notizie sui “Living Buddha” approvati dal governo, le loro foto, i nomi, i titoli monastici e le scuole religiose di appartenenza.
Zhu Weiqun, presidente del Comitato per gli Affari Etnici e Religiosi, ha affermato che la disposizione, adottata il 1°settembre 2007, ha impedito al Dalai lama di usare il principio religioso della reincarnazione dei Buddha viventi per compiere attività contrarie al buddhismo tibetano e all’unità nazionale. Ha inoltre aggiunto che “alcuni monasteri buddhisti, in aree diverse del paese, hanno spesso riconosciuto i cosiddetti Buddha viventi per il loro tornaconto e alcune persone si sono finte Lama reincarnati per raggirare i loro seguaci”.
Il decreto cinese, che rende obbligatorio il riconoscimento di ogni lama reincarnato da parte di un governo che si professa comunista e ateo, è stato duramente criticato e ridicolizzato dai tibetani. Sonam Norbu Dagpo, portavoce dell’Amministrazione Centrale Tibetana, ha dichiarato che la Cina, a partire dall’epoca della Rivoluzione Culturale, ha sempre cercato di interferire nelle questioni attinenti alla religione tibetana per fini puramente politici. “Ora i cinesi cercano di controllare il Tibet manipolando la millenaria tradizione del riconoscimento dei Buddha viventi. E’ indubbio che il loro fine ultimo è quello di gestire il riconoscimento dell’antica istituzione del Dalai Lama e di usarlo come mezzo per legittimare l’occupazione del Tibet”.
“Privata” la visita di Samdhong Rinpoche in Cina
A fronte degli interrogativi e delle speculazioni sulla visita in Cina, lo scorso mese di novembre, dell’ex premier tibetano Samdhong Rinpoche i qualità di “inviato” del Dalai Lama, il presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana Lobsang Sangay ha dichiarato che la visita ha avuto carattere “privato”. “Samdhong Rinpoche non mi ha ancora informato circa il suo viaggio e di conseguenza non ne conosco i particolari”, ha detto il premier tibetano. “E’ tutto nelle carte ma ritengo che non vi sia molto da appurare”. Ha tuttavia reso noto che Samdhong Rinpoche si è recato nella zona delle montagne di Wutai-Shan, un luogo sacro ai buddhisti situato nella Provincia dello Shanxi, a 350 chilometri da Pechino. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso lo stesso Dalai Lama aveva espresso il desiderio di recarsi in pellegrinaggio i quei luoghi.
Le voci del viaggio di Samdhong Rinpoche in Cina erano state oggetto di accese discussioni tra i tibetani e avevano aperto la strada alla speranza di una possibile ripresa dei colloqui tra Pechino e Dharamsala. Il presidente tibetano ha però affermato che questa eventualità non deve al momento essere presa in seria considerazione alla luce del fallimento dei precedenti dieci infruttuosi incontri.
Fonte: Phayul – Tibetan Review