8 gennaio 2018. Si è tenuto il 4 gennaio presso il tribunale della Prefettura di Yushu il processo all’attivista tibetano Tashi Wangchuk, strenuo difensore del diritto dei tibetani a studiare ed esprimersi nella loro lingua e per questo accusato di “incitamento al separatismo”.
Tashi fu arrestato il 27 gennaio 2016, due mesi dopo la pubblicazione sul New York Times di un articolo e di un documentario in cui l’attivista tibetano, denunciava le pressioni e lo stato di paura in cui versano i suoi connazionali ed esprimeva il timore dell’annientamento della cultura tibetana attuato dal governo cinese attraverso la progressiva riduzione e deterioramento della lingua scritta e parlata. Accusato di “incitamento al separatismo” nonostante abbia sempre dichiarato di non volere l’indipendenza del Tibet, Tashi è comparso davanti al Tribunale del Popolo della Prefettura di Yushu, nella regione del Kham, la mattina del 4 gennaio. Liang Xiaojun, il suo avvocato, ha fatto sapere che il processo è durato circa quattro ore e si è concluso senza una sentenza, rinviata a data da stabilirsi.
Nel video, intitolato “Il viaggio di un tibetano verso la giustizia” e proiettato in aula come prova d’accusa, Tashi Wangchuk parla dei viaggi da lui effettuati a Pechino nel tentativo di sollecitare le autorità di governo della prefettura di Yushu a non impedire l’apprendimento e l’uso della lingua tibetana nelle scuole. Nei nove minuti della durata del filmato, Tashi, parlando in lingua mandarina, ricorda che i 140 tibetani fino a quel momento immolatisi Tibet dal 2009 hanno agito anche in segno di protesta per la scomparsa della loro cultura. Dichiara inoltre di voler cercare una soluzione del problema attraverso la piena attuazione delle leggi sulle minoranze etniche previste dalla Costituzione della Repubblica Popolare Cinese auspicando l’introduzione nelle scuole di un autentico sistema di insegnamento bilingue che consenta ai bambini tibetani di parlare fluentemente la lingua madre. Afferma che l’assenza dell’adozione del bilinguismo sia nelle scuole sia negli uffici governativi viola la Costituzione cinese che garantisce l’autonomia culturale dei tibetani e di tutte le minoranze.
Dal 2016, anno del suo arresto, numerosi gruppi internazionali attivi nel campo dei diritti umani tra cui Human Rights Watch, Amnesty International e International Campaign for Tibet si sono interessati al caso di Tashi Wangchuk chiedendo alla Cina di lasciar cadere le accuse e la conseguente liberazione dell’attivista. Il Presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana, Lobsang Sangay, ha dichiarato che l’esito del processo farà luce sulle reali intenzioni della Cina di ottemperare alle leggi internazionali e alla sua stessa Costituzione.
Fonti: Washington Post – Central Tibetan Administration – TibetNet