20 giugno 2018. Nel discorso a chiusura della 38°sessione del Consiglio ONU per i Diritti Umani, l’Alto Commissario Principe Zeid Ra’ad al-Hussein di Giordania ha criticato la Cina per il suo rifiuto a consentire libero accesso in Tibet agli inviati delle Nazioni Unite.“Nonostante i ripetuti sforzi compiuti dal mio Ufficio per creare le condizioni favorevoli a un dialogo costruttivo, la Cina non ha consentito ai rappresentanti della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani libero accesso alle cosiddette regioni cinesi della Regioni Autonoma Tibetana e della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, territori nei quali la situazione dei diritti umani è in costante e rapido peggioramento”. Queste le parole pronunciate dall’Alto Commissario a Ginevra, martedì 19 giugno, a chiusura della 38°sessione del Consiglio.
L’Alto funzionario ONU ha inoltre fatto sapere che negli ultimi cinque anni sono state inoltrate alla Cina più di quindici richieste di permesso di visita alle regioni interessate. Solo in due casi la richiesta è stata accolta. Il principe Zeid Ra’ad al-Hussein, il cui mandato scadrà alla fine dell’anno in corso, ha dichiarato che i diritti umani vanno difesi “senza alcuna paura” e ha chiesto a tutti coloro che operano in questo settore “di fare di più, di far sentire più forte la loro voce e di lavorare sodo per il fine comune e per l’applicazione della legge universale sui diritti umani, indispensabile strumento di pace”. L’Alto Commissario, al termine del suo discorso, ha espresso la propria preoccupazione per la linea politica i questi giorni adottata dall’amministrazione Trump circa la forzata separazione dei migranti messicani dai loro figli, “linea politica – ha precisato – che punisce i figli per le azioni dei genitori”.
Di ieri la notizia dell’uscita degli Stati Uniti dal Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in segno di protesta per l’atteggiamento nei confronti di Israele. Ne hanno dato l’annuncio l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, e il segretario di stato, Mike Pompeo, del Dipartimento di Stato. È un’organizzazione che “non è degna del suo nome”, ha dichiarato Nikki Haley, sottolineando che l’organo delle Nazioni Unite è diventato “protettore di chi viola i diritti umani e un pozzo nero di pregiudizi politici”. Non è la prima volta che gli Stati Uniti lasciano il Consiglio dei Diritti Umani: è avvenuto per tre anni durante l’amministrazione di George W. Bush, e sono tornati a farne parte con Barack Obama.
Molte le reazioni alla decisione statunitense. In un comunicato, il portavoce del servizio responsabile degli affari esteri e corpo diplomatico dell’Unione Europea (EEAS) ha dichiarato che la promozione e la protezione dei diritti umani è al centro della politica estera dell’Unione e uno dei pilastri delle Nazioni Unite. “Da parte sua, l’Unione Europea mantiene un impegno fermo e affidabile nel confronti del Consiglio per i Diritti Umani, strumento di difesa dei diritti e delle libertà fondamentali in tutto il mondo. Affermiamo il nostro sostegno al Consiglio e il nostro impegno a collaborare con tutti i paesi e i rappresentanti della società civile al fine di rafforzarne e proteggerne le conquiste”. Questo il commento di Kenneth Roth, direttore esecutivo dell’organizzazione Human Rights Watch: “Lasciando il Consiglio gli Stati Uniti hanno voltato le spalle non solo alle Nazioni Unite ma anche alle vittime degli abusi in materia di diritti umani in tutto il mondo, incluse la Siria, lo Yemen, la Corea del Nord e Myanmar. Gli altri governi dovranno ora raddoppiare i loro sforzi affinché l’UNHRC possa affrontare i casi più seri di violazione dei diritti nel mondo”.
Fonti: Phayul – Central Tibetan Administration – eeasEurope – HRW