28 agosto 2018. L’appello dell’attivista tibetano Tashi Wangchuk contro la condanna a cinque anni di carcere inflittagli dal tribunale di Yushu il 22 maggio è stato respinto dall’Alta Corte del Tribunale del Popolo in data 13 agosto.
Ne ha dato notizia il 22 agosto attraverso i social media il suo avvocato, Ling Xiaojun, il quale ha precisato che l’Alta Corte del Tribunale del Popolo della regione del Qinghai ha respinto tutte istanze e le argomentazioni presentate da lui stesso e dal suo assistito. Poiché la durata della detenzione è calcolata a partire dal momento del suo arresto, Tashi sarà presumibilmente rilasciato all’inizio del 2021.
Tashi Wangchuk, trentatré anni, fu arrestato il 27 gennaio 2016, due mesi dopo la pubblicazione sul New York Times di un articolo e di un documentario in cui l’attivista tibetano denunciava le pressioni e lo stato di paura in cui versano i suoi connazionali ed esprimeva il timore dell’annientamento della cultura tibetana attuato dal governo cinese attraverso la progressiva riduzione e deterioramento della lingua scritta e parlata. Accusato di “incitamento al separatismo” nonostante avesse sempre dichiarato di non volere l’indipendenza del Tibet, Tashi comparve davanti al Tribunale del Popolo della Prefettura di Yushu, nella regione del Kham, la mattina del 4 gennaio 2018. Liang Xiaojun, il suo avvocato, fece sapere che il processo, durato circa quattro ore, si era concluso senza una sentenza, rinviata a data da stabilirsi. La condanna, pronunciata dal tribunale di Yushu il 22 maggio, a distanza di oltre quattro mesi dal processo, dichiarò Tashi Wangchuk colpevole di “incitamento al separatismo”.
Immediate furono le prese di posizione di governi e gruppi internazionali a difesa dei diritti umani. Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana, definì la condanna “un travisamento della giustizia” poiché Tashi Wangchuk nel difendere il diritto dei tibetani a esprimersi nella loro lingua si è appellato a quanto previsto dalla Costituzione cinese in materia dei diritti delle minoranze. “La sentenza – dichiarò Lobsang Sangay – prova che ai tibetani in Tibet sono negati i fondamentali diritti umani”. “E’ un giorno triste, ma continueremo a batterci per il suo rilascio”. Nell’apprendere che l’appello era stato respinto, il Presidente tibetano ha affermato che la Cina continua impunemente a violare le normative internazionali e le sue stesse leggi. Buchung Tsering, vicepresidente di International Campaign for Tibet, ha dichiarato che la ricusazione dell’appello è un chiaro indizio della criminalizzazione della cultura tibetana attuata dal governo cinese che arriva a condannare e punire gli individui o i gruppi che semplicemente si battono a difesa della loro lingua.
Top leader cinese incita alla lotta contro le “forze separatiste”
In visita a Lhasa, capitale del Tibet, Wang Yang, uno dei top leader del Partito Comunista cinese, membro del Comitato Permanente del Politburo, ha chiesto il 26 agosto ai dirigenti locali il rafforzamento della lotta contro gli “elementi separatisti” in Tibet affermando l’importanza di un irrigidimento dei controlli sulle istituzioni religiose e le comunità monastiche tibetane. “Gli stessi religiosi – ha affermato – devono avere il coraggio di combattere tutti gli elementi separatisti in nome dell’unità nazionale e della stabilità sociale”. L’agenzia di stato cinese Xinhua ha fatto sapere che Wang ha imposto la totale attuazione delle direttive politiche del Partito nelle aree tibetane affinché “in tempo di sicurezza siano preparate e prendano le opportune precauzioni in vista di future situazioni di pericolo”.
Fonti: Phayul – The Guardian