12 settembre 2018. Pubblichiamo l’intervista concessa dal Dalai Lama al giornalista Raimondo Bultrini e pubblicata in data odierna sul quotidiano La Repubblica.
NEW DELHI. Ghirlande di fiori e sciarpe bianche augurali accolgono il Dalai Lama nell’albergo di New Delhi dove passerà la notte prima del tour europeo che lo porterà da domani in Svezia, Olanda, Germania e Svizzera. Con passo lento e l’aria affaticata per il viaggio dalla sua residenza himalayana di Dharamsala, il leader spirituale tibetano dissipa ogni dubbio sulla sua salute messo in circolazione di recente da alcuni media cinesi e indiani e accetta una intervista con La Repubblica nel salottino della stanza già pronta per il suo riposo. Alle voci aveva già risposto pubblicamente parlandone con i tibetani esuli. “Con le vostre preghiere e i vostri auspici – aveva detto – vi assicuro che posso vivere circa 100 anni”.
Come mai si fanno circolare certe notizie?, lei ci vede una strategia?
Fa un cenno allargando le braccia, poi risponde usando la terza persona e riferimenti indiretti alla sua longevità: “Vede, la nostra responsabilità è iniziare un lavoro etico, io penso di poterci lavorare altri 10, 20, 30 anni, ma non mi aspetto nessun grande cambiamento in questa mia vita, no. E’ nostra responsabilità iniziare il lavoro e poi l’altra generazione lo porterà avanti, come gli esseri umani hanno fatto nelle precedenti generazioni per migliaia di anni e come faranno le giovani”.
Vuol dire che le sue relazioni con la Cina vanno a rilento come nel passato?
“Vede, prima qualche funzionario del partito supportava perfino certi gruppi contrari al Dalai Lama e li usava, in certi casi offrendo dei soldi. Ora l’attitudine del governo cinese verso di me è cambiata, e automaticamente è cambiato anche l’atteggiamento verso certi gruppi. Intendo dire che è cambiato in meglio, tra gli stessi leader al vertice c’è una sorta di nuovo feeling, e invece di spingere lontano il Dalai Lama pensano che sia meglio portarlo più vicino ai cinesi, è questo il tipo di progresso che avverto”.
Lei vive in India da quasi 60 anni e la presenza dei centomila esuli tibetani è stato anche motivo di confronto tra Delhi e Pechino.
“Parte del mio impegno qui è far rivivere l’antica conoscenza indiana che avrà inevitabilmente un effetto anche su un altro miliardo di persone in Cina, dove il buddhismo non è certo alieno. Ci sono oltre 400 milioni di buddhisti in Cina, lo sapevate?”.
Anche nel resto del mondo il buddhismo fa proseliti, ma riceve spesso la fama negativa riflessa di certi paesi dove si pratica questa religione con la violenza.
“Il mio primo impegno è quello che mi viene dall’essere un umano, e provo a promuovere i diritti umani di base come karuna, la compassione. Il secondo impegno è quello del buddhista che cerca di creare armonia tra le diverse tradizioni, tibetane, buddhiste ma non solo. Ma quando sento in tv gli assassinii degli sciiti in diversi paesi, di cristiani e musulmani come in Birmania, c’è qualcosa di veramente terribile che sta accadendo, e quindi raggiungere un’armonia e davvero essenziale”.
Le viene in mente un luogo dove questo sogno si avvicina al suo?
“In India da migliaia di anni diverse tradizioni già convivono, quindi è possibile. Quando parlo di armonia delle religioni intendo dire che tutte portano un messaggio di compassione e amore, di tolleranza e perdono. Filosoficamente ci sono differenze, e questo è necessario ai credenti che hanno bisogno di diversi approcci per promuovere la compassione. Qualcuno dice: siamo tutti creati da Dio che vuol dire amore, tutti figli del compassionevole padre, molto potente. Per altri non c’è un creatore, ma – come nel buddhismo – noi stessi siamo creatori… Quindi servono diverse vie di approccio, diverse filosofie. Io non ho mai detto che il buddhismo è il migliore, non puoi dire: prendi questa medicina che è la migliore. Se faccia bene o no dipende dal paziente, la stessa non può essere buona per tutti”.
Il leader tibetano ha ripreso la sua energia. “Per qualcuno il buddhismo è molto buono, ma per altri è troppo complicato – ride – meglio pensare che un Dio ha creato tutto. Molto meglio…Ma torniamo ai miei impegni. Il terzo è quello per il Tibet. Degli affari politici mi sono liberato dichiarandomi pensionato dal 2001, e la comunità ha già una sua ledership politica eletta. A loro vanno tutti i poteri temporali e le responsabilità, ma mi sono preso la responsabilità di preservare la cultura tibetana”.
Che tipo di influenze non politiche ha subito questa cultura?
“Uno studioso del 14esimo secolo disse che la saggezza o la luce venne dall’India e raggiunse il Tibet avvolto nell’oscurità del non sapere, nella regione chiamata delle Nevi, quindi spiego’ che dopo l’arrivo della saggezza dall’India il Tibet divenne chiaro e prese a risplendere. E’ vero. Ora il Tibet conserva una tradizione che viene specialmente dalla università di Nalandra (la più vasta dell’Oriente rasa al suolo dagli islamici Moghul nell’anno 1000) e che noi preserviamo grazie ai testi tradotti prima della distruzione degli originali. Per questo distinguo tra lo stesso buddhismo e la cultura buddhista, che è qualcosa di molto importante e va preservata. Per spiegare ad esempio complesse filosofie nei testi della logica buddhista, è essenziale usare la complessità della lingua tibetana, e questo è un altro motivo per cui è importante”.
Lei ha spesso parlato di un impegno anche per l’ambiente.
“Un ecologista cinese ha spiegato che per via degli effetti del riscaldamento globale gli altopiani tibetani stanno diventando un terzo polo dopo quelli del Nord e del Sud. Quindi è molto importante preservare l’ecologia di questi luoghi e serve una cura speciale per l’ambiente del Tibet. Infine il mio quarto impegno, tentare di far rivivere quell’antica conoscenza indiana in grado di aiutare a gestire le emozioni lavorando sulla mente. Questo lo chiamo educazione, che ora nelle scuole è intesa a livello fisico e di apprendimento delle nozioni necessarie per un futuro. Ma dobbiamo includere nell’educazione come imparare a trasformare le emozioni che affliggono molti giovani. Tutti i leader religiosi, gli studiosi, i sadhu (asceti) dell’India dovrebbero avere la responsabilità comune di far rivivere una conoscenza antica e unica in grado di combinare il sapere del passato ispirato alla pace interiore e le nozioni moderne del mondo materiale. Non tutti i 7 miliardi di esseri umani possono di certo essere sadhu”, ride. Quindi anche “l’educazione importata dagli inglesi è utile, ma un’educazione materialistica crea una vita materialistica e una cultura materialista. I giovani dell’india vedono già la convenienza di una vita materialistica, ma capiscono anche che non e sufficiente”.
E nel resto nel mondo?
“Tutti sanno che in Europa, in America, il livello materiale è molto sviluppato, e anche l’educazione è avanzata, ma sanno anche che esistono molti problemi emotivi, l’abuso di droghe e di alcool tra questi, perché le persone trovano difficile raggiungere la pace qui (si tocca la testa). Per questo è molto importante raggiungerla questa pace mentale, e capire che l’alcool e le droghe sono totalmente sbagliati, perché quella pace deve venire solo attraverso l’allenamento della mente, che noi chiamiamo shamata, o vipassana. Anche queste sono antiche tradizioni indiane, ma è giunta l’ora di renderle soggetti accademici e non religiosi”.
I non credenti obietteranno.
“E come altrimenti si può pensare di creare armonia tra 7 miliardi di esseri umani? Tra questi ci sono un miliardo di non credenti. Se non pensiamo in termini piu etici, lasciando perdere la religione, questo miliardo di non credenti resterebbero fuori. Personalmente penso che per almeno un altro migliaio di anni questa specie umana resterà sul pianeta, speriamo non per creare altri problemi e conflitti ma per trovare pace. E questo si può raggiungere solo attraverso l’educazione, usando questo meraviglioso cervello umano che rendiamo inquieto con le emozioni negative. Ora perfino gli scienziati dicono che la natura essenziale della mente è piu compassionevole, ma che sebbene il benessere fisico sia migliorato a livello familiare, sociale, dell’individuo, della comunità, aumenta la rabbia, il sospetto, il senso di competizione e la gelosia, e se un individuo non può essere felice diventa difficile per la stessa famiglia”.
Come la medicina non esiste nemmeno una felicità per tutti?
“Se tutti vogliono una vita felice devono sapere che la felicità ha origine dentro di noi”.
Di Raimondo Bultrini
La Repubblica – 12 settembre 2018