29 gennaio 2019. Le autorità cinesi sollecitano i tibetani che dall’estero fanno ritorno in Tibet a sostenere le direttive politiche del Partito Comunista e a dichiarare la loro opposizione a ogni “attività separatista”.
E’ quanto emerso il 23 gennaio, a Lhasa, in occasione di un “tea party“, organizzato dalle autorità della capitale in occasione dei festeggiamenti per il Festival della Primavera cinese e il Capodanno Tibetano, al quale erano stati invitati i tibetani tornati in Tibet e i famigliari di quanti risiedono all’estero. Ne ha dato notizia il 27 gennaio l’organo di informazione di regime globaltimes.cn con riferimento a quanto pubblicato dal locale quotidiano Tibet Daily (nella foto una veduta di Lhasa dal tempio del Jokhang).
L’articolo riferisce che Lhapa Donrup, segretario dell’Ufficio per gli Affari Etnici e Religiosi del comune di Lhasa, ha invitato i convenuti a “sostenere le direttive politiche del Partito Comunista cinese e a difendere l’unità nazionale fermamente osteggiando ogni attività separatista”. Li ha inoltre esortati a promuovere tali direttive presso i tibetani residenti all’estero “affinché possano conoscere la vera realtà del Tibet”. Zhu Weiqun, ex capo dello stesso Ufficio presso il Comitato Nazionale, ha dichiarato che i tibetani lasciano il paese per differenti motivi: alcuni vanno all’estero per motivi economici, altri per seguire ciecamente il Dalai Lama. Ma poi ritornano, ha precisato, “perché in Cina è in atto una forte crescita economica con il conseguente miglioramento delle condizioni di vita”. A sua volta ha esortato i tibetani rientrati in Tibet a informare dei progressi in atto quanti, ancora all’estero, non conoscono la reale situazione del paese.
Altre notizie arrivate dal Tibet smentiscono tuttavia le affermazioni sul miglioramento delle condizioni di vita dei tibetani. Gli abitanti di cinque Contee della Prefettura di Chamdo, nella “Regione Autonoma Tibetana”, sono stati forzatamente obbligati a lasciare le loro case nelle aree rurali per trasferirsi in nuovi agglomerati urbani pagando di tasca propria – 8.000 Yuan – le spese per le nuove abitazioni. I promessi aiuti statali per “alleviare la povertà” non sono ancora stati elargiti e i tibetani, nel nuovo domicilio, non sono in grado di affrontare le spese necessarie alla vita quotidiana. Una relazione a firma di Rinzin Dorjee, ricercatore presso il Tibet Policy Institute dell’Amministrazione Centrale Tibetana, rende noto che la Cina non ha mantenuto quanto promesso ai tibetani obbligati a trasferirsi nelle nuove case in materia di lavoro e assistenza sanitaria nonché di libero accesso all’educazione scolastica per i loro figli. Sembra addirittura che, quando elargita, questa assistenza venga fornita ai tibetani che smettono di praticare il buddhismo e fanno invece offerte rituali ai ritratti del presidente cinese Xi Jinping.
Fonte: TibetanReview.net