6 febbraio 2019. Le autorità cinesi della “Regione Autonoma Tibetana” (TAR) hanno reso noto di avere scoperto e punito 215 funzionari del Partito accusati di credere nella religione e di essere coinvolti in attività separatiste.
Ne ha dato notizia il 1°febbraio il sito cinese globaltimes.cn riferendo che le accuse sono state formulate in un video di 46 minuti prodotto dal dipartimento della Commissione Regionale Disciplinare della TAR, istituito nel 2018 per monitorare la disciplina all’interno del Partito, e dalla televisione tibetana. Il video, parte di una serie di quattro episodi girati con l’intento di rendere pubblica l’attività dei Pechino contro la corruzione e di illustrare le normative – che contemplano ben 46 tipi di violazione – alle quali i membri del Partito devono attenersi, è stato messo in onda dalla televisione della “Regione Autonoma” dal 28 al 31 gennaio 2019. L’iniziativa si inserisce nella campagna nazionale di controllo e rafforzamento della gestione del Partito.
Nel filmato, le autorità cinesi accusano di “voltafaccia” quelle persone che in Tibet dichiarano lealtà al Partito ma al contempo simpatizzano e addirittura lavorano in segreto accanto ai separatisti. Non vengono fatti nomi né viene specificato in cosa consistano queste attività separatiste. E’ riportata l’affermazione di Xiong Kunxin, professore di studi sulle minoranze etniche presso l’Università di Lhasa, secondo il quale il governo regionale ha ormai identificato questi sleali membri del Partito e si sta adoperando per la loro espulsione. Nel video si racconta che nel 2016, in un villaggio della Contea di Nyalam, presso Xigatse, la polizia ha trovato in una grotta alcuni “oggetti politicamente proibiti” destinati al culto religioso e a questo scopo utilizzati anche dal locale capo del Partito. In seguito alla scoperta tre funzionari sono stati espulsi dal Partito Comunista e altri dieci hanno ricevuto una diffida.
E’ del 4 febbraio la notizia, pubblicata da globaltimes.cn, che le autorità governative delle Prefetture di Nangqen e di Yushu, nella regione del Qinghai, hanno intimato ai locali monasteri buddisti di non impartire lezioni di lingua tibetana agli studenti tornati a casa per le vacanze in quanto questi corsi extra scolastici, definiti “illegali”, possono instillare nella mente dei ragazzi idee sovversive che minacciano la stabilità sociale. Il governo locale ha negato che gli studenti non abbiano la possibilità di studiare la lingua tibetana affermando che, al contrario, il bilinguismo è sempre stato favorito e incoraggiato e ha invitato gli studenti a frequentare i corsi di lingua tibetana in “istituti scolastici qualificati”. Non ha spiegato cosa si intenda per “istituti qualificati” né ha spiegato perché nei monasteri possano essere infuse nella mente dei ragazzi idee che minacciano la stabilità sociale. Resta il fatto che, nonostante il governo del Qinghai abbia reso noto di aver investito, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2017, 640 milioni di Yuan per sostenere l’istruzione scolastica bilingue, lo studio della lingua tibetana resta una materia del tutto marginale.
Fonte: Tibetan Review