20 novembre 2019
L’ultima sortita l’hanno tentata aprendo i tombini e calandosi nelle fognature. Era l’alba di ieri e un manipolo di studenti ha cercato di lasciare il Politecnico circondato di Hong Kong con una fuga nei sotterranei. Avevano discusso il piano in un’assemblea degli irriducibili, valutando i rischi. Finire nelle mani della polizia dopo aver esaurito tutte le munizioni e le forze per la difesa dell’università trasformata in fortezza? O meglio infilarsi nel buio dei canali di scolo, con la possibilità di morire per i gas dei rifiuti in fermentazione e decomposizione? I pochi che hanno scelto di scendere nei cunicoli dopo pochi minuti sono riemersi sconvolti. E hanno deciso di arrendersi.
Sono le 14,30 di martedì quando al posto di blocco della polizia davanti al Politecnico cominciano a sfilare a uno a uno o in gruppetti di 3-4 i ragazzi a capo chino. Si sono consegnati dopo una settimana di occupazione e tre giorni di battaglia dentro PolyU, una delle prestigiose università di Hong Kong trasformata in baluardo dal movimento democratico e anti-cinese. La notte precedente erano stati circa 600 gli studenti guerriglieri usciti dal campus, stremati dopo la lotta. Per i 200 minorenni solo identificazione e poi a casa. Per i 400 sopra i 18 anni, arresto e denuncia criminale. Secondo i dati della polizia in tutto, nei tre giorni di battaglia del Politecnico, gli arresti sono stati oltre mille, i feriti oltre 200.
All’interno di PolyU nella notte erano rimasti un centinaio di irriducibili, forse solo due dozzine. Si dice che dormano in una palestra bunker accanto a bottiglie incendiarie con l’innesco pronto. Ma potrebbe essere solo una delle tante leggende che circolano a Hong Kong.
Ecco invece la scena a cui abbiamo assistito al posto di blocco di Hong Chong Road, sotto le torri cilindriche in mattoni rossi di PolyU annerite dal fumo delle molotov e dai roghi dei ponti pedonali bruciati durante la battaglia. Una cinquantina di poliziotti, compresi tre ufficiali addetti alla stampa: e infatti questa è un’operazione d’immagine per la polizia di Hong Kong. Mostrano alle telecamere gli sconfitti, i «rivoltosi criminali» (come li hanno definiti) che hanno finalmente ceduto.
I minorenni sono accompagnati da civili, operatori sociali o dipendenti dell’università che li hanno convinti a cedere. Hanno tolto calzamaglie e magliette nere dell’uniforme da militante anti-governativo e anti-cinese, sono stati fatti lavare e cambiare. Ci dice uno di loro, in T-shirt bianca e pantaloncini da spiaggia, dopo aver chiamato casa con lo smartphone: «Non mi arrestano, ho 17 anni. Però potrebbero incriminarmi dopo, così mi hanno spiegato». Altri sono scortati dai poliziotti, hanno i polsi legati dietro la schiena e il capo chino: per loro la prossima fermata non è casa, ma la prigione. Fuori, l’attesa dei genitori, che durante una conferenza stampa martedì hanno rivolto un appello alle autorità.
Una gogna organizzata dalla Hong Kong Police Force che sente di aver vinto la battaglia del Politecnico e ora ritiene più utile convincere i duri a uscire da soli uno alla volta piuttosto che dare l’assalto finale. Meglio così, si evita un altro scontro, ma questa esibizione mediatica (di cui siamo testimoni e parte) lascia pensare.
Ci sono anche cittadini allo slargo dove si svolge la resa degli ultimi studenti di PolyU. Partono grida di solidarietà da una signora col volto coperto da una mascherina nera: «Gayau», che in cantonese significa «Aggiungi olio, tieni duro!» È diventato uno degli slogan della protesta democratica.
La pena per chi provoca «tumulti» a Hong Kong può arrivare a 10 anni. Dice al Corriere Ricky, un dirigente del civil service governativo: «Questi ragazzi si stanno rovinando il futuro, vengono identificati, alcuni incriminati e le condanne, anche se magari poi saranno moderate, resteranno sui loro documenti. Significa che non potranno trovare un buon lavoro qui a Hong Kong, neanche se avranno una laurea prestigiosa nelle università che ora occupano. E anche se al momento il Congresso di Washington li elogia e li invita a continuare la lotta per la democrazia, per danneggiare la Cina, quando fra qualche anno gli ex «bravi ragazzi coraggiosi» chiederanno un visto per gli Stati Uniti non lo otterranno, perché un funzionario dell’immigrazione leggerà le carte e dirà che hanno un “criminal record”. Allora i senatori di Washington non spenderanno più una parola per loro».
Dei mille arrestati di PolyU si occuperanno i magistrati. Che dimostrano ancora autonomia dal governo. Sì, ci sono giudici indipendenti a Hong Kong, e a Pechino questo non piace. L’Alta Corte del territorio lunedì ha definito incostituzionale il divieto di indossare la maschera in pubblico imposto dalla governatrice Carrie Lam. Ieri l’Assemblea Nazionale del Popolo (il Parlamento cinese) ha condannato la sentenza e minacciato di rovesciarla. Sarebbe la fine dell’indipendenza del potere giudiziario di Hong Kong e l’asservimento a Pechino.
Di Guido Santevecchi
Corriere della Sera – 20 novembre 2019