25 gennaio 2021. Tenzin Nyima, un monaco di soli 19 anni, è deceduto in seguito alle brutali percosse ricevute in carcere.
Ne ha dato notizia il 21 gennaio l’organizzazione a difesa dei diritti umani Human Rights Watch. Tenzin Nyima, che apparteneva al monastero di Dza Wonpo, situato nell’omonima cittadina della prefettura di Kardze, era stato arrestato nel novembre 2019 assieme ad altri tre giovani monaci tibetani per aver distribuito volantini e aver gridato slogan inneggianti all’indipendenza del Tibet. La protesta, avvenuta di fronte agli uffici governativi, era stata preceduta da manifestazioni popolari non solo contro il forzato ricollocamento dei nomadi e dei residenti ma anche contro le pressioni esercitate sulla popolazione locale affinché riconoscesse pubblicamente i benefici del “Programma di Alleviamento della Povertà” posto in atto nella regione dalle autorità cinesi.
Tenzin Nyima, rilasciato nel maggio 2020, era stato nuovamente arrestato l’11 agosto per aver condiviso online, anche con tibetani in India, notizie riguardanti la sua detenzione e quella dei confratelli. All’inizio dell’ottobre 2020 le autorità carcerarie lo avevano riconsegnato alla famiglia a causa delle pessime condizioni di salute dovute alle percosse e alla cattiva alimentazione: Nyima non riusciva a parlare e a muoversi, presentava gravi ferite in tutto il corpo e respirava a fatica. Ormai privo di conoscenza, era stato ricoverato il 9 ottobre presso l’ospedale di Chendu, dove, secondo un rapporto ottenuto da Human Rights Watch, i medici avevano subordinato l’inizio delle cure al pagamento di 40.000 Remibi – circa 6.000 dollari USA – chiesti ai famigliari come fondo spesa. Dopo alcune settimane, il giovane era stato dimesso perché considerato incurabile. Nel disperato tentativo di salvarlo, i parenti avevano ottenuto che fosse ammesso all’ospedale di Dartsedo da cui medici l’avevano a loro volta dimesso in quanto ormai malato terminale. Tornato a casa, Tenzin Nyima è poco dopo deceduto.
Il 15 gennaio 2020, il governo tibetano in esilio ha comunicato di aver appreso, a distanza di cinque anni, la notizia della morte di Shumo, un tibetano di 26 anni immolatosi con il fuoco il 17 settembre 2015 nel villaggio di Shagchukha, nella Regione Autonoma Tibetana di Nagchu. Sale così a 157 il numero dei tibetani che hanno scelto la morte come estremo atto di protesta contro l’occupazione cinese.
Fonte: Tibetan Review