27 maggio 2021. Il 23 maggio, a due giorni dal 70°anniversario della firma dell’Accordo in 17 punti, Pechino ha pubblicato un nuovo Libro Bianco sul Tibet.
Intitolato Tibet dal 1951: Liberazione, Sviluppo e Prosperità, il nuovo testo arriva a due giorni dal settantesimo anniversario dell’accordo firmato il 23 maggio 1951 tra il governo centrale comunista e il governo tibetano conosciuto come Accordo in 17 punti che, di fatto, sanciva la fine dell’indipendenza del paese e la proclamazione ufficiale di quella che i cinesi definiscono “la pacifica liberazione del Tibet”.
Presentato da un’introduzione generale, il Libro Bianco segue lo schema ormai consolidato delle pubblicazioni governative di questo genere, con una conclusione preceduta da dieci capitoli che presentano il Tibet prima della liberazione pacifica, la liberazione pacifica, i cambiamenti storici nella società, lo sviluppo dei diversi progetti e delle iniziative, la vittoria sulla povertà, la protezione e lo sviluppo della cultura tradizionale tibetana, i risultati ottenuti nel lavoro etnico e religioso, le barriere messe in campo per la protezione ambientale, la salvaguardia dell’unità nazionale e della stabilità sociale, ed infine il cammino del Tibet verso la Nuova Era, ossia il percorso indicato per l’intero Paese dal presidente Xi Jinping da qui alla metà di questo secolo.
Le tre più importanti tappe storiche elencate mettono in evidenza i profondi cambiamenti avvenuti in Tibet nel corso degli ultimi settant’anni:
– La riforma democratica che ha abolito il sistema feudale e teocratico di servitù presente nella regione prima del 1951, liberando milioni di schiavi e garantendo gli interessi fondamentali di tutti i gruppi etnici del Tibet;
– La costruzione di un sistema socialista e l’attuazione dell’autonomia regionale su base etnica per la regione (dal 1965);
– L’introduzione a livello regionale delle politiche di riforma e apertura nazionali (1978), che hanno consentito al Tibet di sprigionare il suo potenziale economico e di migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione, sino allo sradicamento della povertà assoluta raggiunto nel 2019, quando gli ultimi 628.000 cittadini e le ultime 74 contee della regione sono ufficialmente uscite dall’elenco delle aree povere.
Tra gli obiettivi dichiarati dal libro bianco ci sono anche quelli di “contrastare la propaganda diffusa da alcuni Paesi occidentali e dai loro alleati” e di “fornire alla comunità internazionale un resoconto equilibrato della grande trasformazione che ha avuto luogo in Tibet” (nella foto: uno striscione appeso sul tempio del Jokhang, a Lhasa, elogia le politiche del Partito Comunista).
Ricordiamo che il governo di Lhasa si vide costretto a firmare l’accordo dopo l’invasione dal Kham (Tibet orientale) da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese avvenuta il 6 ottobre 1950 e la successiva minaccia che l’invasione si sarebbe estesa a tutto il Tibet in caso di mancata accettazione dell’accordo stesso. Nell’aprile 1951 il governo del Dalai Lama inviò in Cina una delegazione che era autorizzata ad esporre il punto di vista di Lhasa e ad ascoltare le posizioni cinesi ma non poteva firmare alcun accordo. A Pechino però, i tibetani furono sottoposti a minacce di vario genere e venne loro impedito ogni contatto con le autorità di Lhasa. In queste condizioni la delegazione tibetana fu costretta a firmare un trattato in Diciassette Punti secondo il quale il Tibet entrava a far parte della Cina sia pure in condizioni di notevole autonomia.
I punti principali dell’accordo prevedevano:
- il riconoscimento della sovranità cinese sul territorio tibetano, del quale veniva sancito ufficialmente l’ingresso nella neonata Repubblica Popolare Cinese
- l’istituzione in territorio tibetano di un comitato militare e amministrativo nonché di un quartier generale di comando della regione militare gestiti dal governo di Pechino
- le garanzie cinesi sull’autonomia regionale del Tibet nelle questioni interne e la salvaguardia della locale cultura
- un piano di riforme da parte del governo cinese che si impegnava ad inserirle gradualmente nella vita del paese
- il graduale inserimento delle forze armate tibetane all’interno dell’esercito cinese
- la gestione dei rapporti del Tibet con l’estero da parte del governo cinese
In seguito, specialmente dopo la rottura dei rapporti tra il governo cinese ed il Dalai Lama, avvenuta nel 1959 contestualmente alla sua fuga ed all’autoesilio in India, esponenti del governo tibetano avrebbero denunciato l’unilateralità dell’accordo, stilato dai cinesi senza acconsentire alcun emendamento ai delegati tibetani, e dichiarato che questi erano presenti per negoziare e non per firmare.
Il 21 maggio, anniversario dell’Accordo, International Campaign for Tibet, unendosi alle voci di numerosi studiosi, ha denunciato quanto la Cina abbia disatteso le garanzie sull’autonomia e la preservazione della cultura tibetana. “Nell’arco di questi settant’anni il governo cinese ha unilateralmente adottato e incrementato politiche repressive che minacciano la lingua, la cultura, la religione e la libertà di espressione del popolo tibetano”, ha affermato ICT. La Cina, si legge nel comunicato, sta inoltre sfruttando a suo beneficio le risorse naturali del paese e favorendo il massiccio ingresso di migranti cinesi. Non contenta di avere travisato la storia negando l’indipendenza tibetana, Pechino non rifiuta anche l’Approccio della Via di Mezzo, la proposta politica del Dalai Lama che chiede una genuina autonomia per il Tibet.
Fonti: agenziastampaitalia – Radio Free Asia – Associazione Italia-Tibet