13 settembre 2021. Iniziata nel mese di agosto, prosegue in Tibet l’ondata di arresti di tibetani accusati di possedere foto del Dalai Lama.
Non è certo l’esatto numero dei tibetani fermati. Sappiamo che tra il 22 e il 24 agosto, a Dza Wonpo (nella foto), Contea di Sershul, nella Prefettura di Kardze, provincia del Sichuan, la polizia cinese ha arrestato 59 tibetani. Altri 53 hanno subito la medesima sorte tra il 21 e il 29 agosto. Nella stessa località, il 3 settembre, sono avvenuti gli ultimi arresti: otto tibetani, sei monaci e due laici, sono stati forzatamente allontanati dalle loro abitazioni dopo una mirata ispezione delle forze dell’ordine.
Radio Free Asia – Tibetan service, riferisce che le autorità cinesi hanno setacciato le abitazioni dei tibetani alla ricerca di fotografie del Dalai Lama e controllato anche i loro telefoni cellulari alla ricerca di presunti contatti e scambio di informazioni con connazionali fuori dal Tibet. Altri tibetani sono stati arrestati per “aver parlato di argomenti sociali” all’interno della loro comunità. L’area di Dza Wonpo è da tempo teatro di numerose proteste contro la polizia e il governo cinese. “Per questo motivo è considerata una zona ‘politicamente sensibile’ ed è tenuta sotto stretto controllo” – ha dichiarato da Dharamsala Nyima Woeser, ricercatore presso il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia. Il Centro ha inoltre reso noto che tutti i monaci al di sopra dei 18 anni appartenenti al monastero di Wonpo sono stati convocati in gruppi di venti presso il locale ufficio di polizia per accertamenti. Ogni religioso è stato costretto a firmare un documento in cui si impegnava a non esporre sul proprio altare immagini del Dalai Lama, a non avere contatti con persone fuori dal Tibet e a non condividere on line alcun tipo di informazione.
Due giovani tibetani, Yang Ri e Guldak, sono stati tratti in arresto il 24 agosto nella cittadina di Darlak, nella cosiddetta Prefettura Autonoma Tibetana di Golog, per aver condiviso sulla piattaforma WeChat il loro rammarico per l’obbligo di studiare su libri di testo in lingua cinese anziché tibetana. “Se il governo cinese darà corso a questa direttiva non saremo in grado di continuare i nostri studi, per noi sarebbe meglio lasciare la scuola e vivere da nomadi accudendo il nostro bestiame sulle montagne” – hanno scritto i due ragazzi. Il loro caso non il solo: in data 10 settembre il sito di informazione tibetano Phayul ha reso noto che molti altri giovani hanno lamentato e contestato il forzato disuso della lingua tibetana nelle scuole.
Fonti: Tibetan Review – Phayul