6 ottobre 2021
La Cina ha già la capacità di invadere Taiwan e sarà in grado di lanciare un attacco su “vasta scala” contro l’isola entro il 2025. Lo ha dichiarato oggi al Parlamento nazionale il ministro taiwanese della Difesa Chiu Kuo-cheng: una prospettiva drammatica per Taipei, che secondo diversi osservatori potrebbe essere anche ottimistica.
Parlando delle crescenti tensioni con Pechino, Chiuo ha detto che la situazione attuale è la più seria da quando 40 anni fa è entrato nelle Forze armate. Il ministro ha spiegato che un errore di valutazione potrebbe far scoppiare subito un conflitto lungo lo Stretto di Taiwan. Il suo riferimento è alle ripetute incursioni dell’aviazione cinese nella zona d’identificazione aerea difensiva di Taipei. Negli ultimi cinque giorni velivoli militari della Cina hanno compiuto 150 sortite, con una punta record di 56 il 4 ottobre.
Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle”, e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza. L’isola è di fatto indipendente dalla Cina dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912.
Analisti taiwanesi sostengono che i raid aerei della Cina servono a dimostrare le capacità combinate di combattimento della sua aeronautica. Secondo Lyle Goldstein, prossimo direttore dell’Asia Engagement for Defense Priorities, c’è molto di più. “Senza alcun dubbio – dice l’esperto militare ad AsiaNews – l’Esercito popolare liberazione sta testando e mettendo sotto pressione le difese taiwanesi”. Per Goldstein, vi è anche un motivo più cupo: “Una volta che a Taiwan o altrove sarà normale vedere grandi formazioni aeree cinesi nelle vicinanze, ciò aiuterà [Pechino] a mascherare un vero attacco. È un espediente classico”.
Di recente il governo taiwanese ha ammesso che durante un tentativo d’invasione la Cina potrebbe mettere fuori uso i sistemi di comunicazione dell’isola in tempi rapidi. In un articolo a sua firma pubblicato da Foreign Affairs, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen scrive che il suo governo ha lanciato una serie di iniziative per ammodernare e riorganizzare le proprie Forze armate. Oggi Chiu ha presentato un piano quinquennale di spese militari extra-budget da 240 miliardi di dollari taiwanesi (7,4 miliardi di euro): risorse che saranno impiegato soprattutto per navi da guerra e missili. Per la prima volta egli ha ammesso anche l’esistenza dello Yun Feng, un missile di medio raggio capace di colpire obiettivi nella Cina continentale a 1.500 km di distanza.
Goldstein ha però poco fiducia nella capacità di Taiwan di controbattere un blitz armato della Cina: “Pechino ha quasi completato la propria preparazione, mentre in termini comparativi i taiwanesi hanno fatto poco per organizzarsi”.
In caso di tentativo di riconquista da parte della Cina, l’obiettivo minimo per l’esercito di Taipei è quello di rallentare l’avanzata cinese per permettere il soccorso degli Stati Uniti. Ieri in un colloquio telefonico il presidente Usa Joe Biden e quello cinese Xi Jinping hanno detto che i loro Paesi devono rispettare “l’accordo su Taiwan”. L’espressione usata è poco chiara, ma dalle spiegazioni della Casa Bianca essa dovrebbe riferirsi alla “politica dell’unica Cina”, secondo cui Washington continuerà a mantenere legami diplomatici ufficiali con Pechino, ma senza accettare la posizione cinese che Taiwan è parte della Cina.
Con il Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti hanno promesso di difendere Taipei, in particolare con forniture militari. Adottato nel 1979 dopo il formale riconoscimento diplomatico della Cina comunista, il provvedimento non specifica l’effettiva natura dell’impegno di Washington: una “ambiguità strategica” che produce continue tensioni con il governo cinese.
Negli ambienti militari Usa vi è la crescente convinzione che la Cina proverà a invadere Taiwan entro 6-10 anni. Secondo Goldstein è una previsione del tutto corretta. Egli pensa che il tentativo d’invasione cinese possa arrivare anche prima, dopo le Olimpiadi invernali di Pechino del prossimo febbraio. “Per paradosso, i passi presi per riempire i spazi vuoti nelle difese di Taiwan potrebbero spingere Pechino ad attaccare”, spiega l’accademico. “Ad esempio, nel 2023 e nel 2024 Taipei riceverà un’importante fornitura di missili anti-nave dagli Stati Uniti. I cinesi potrebbero attaccare prima che questi sistemi d’arma diventino operativi? Si potrebbero”.
di Emanuele Scimia
AsiaNews – 6 ottobre 2021