2008-2022: Giochi di potere. Così la Cina sfida l’Occidente

25 gennaio 2022

Dai Giochi estivi di Pechino nel 2008 alle Olimpiadi invernali del 2022: il confronto rivela ciò che è cambiato nel mondo. Quanto è diversa la Cina e la percezione che ne abbiamo. Quanto è più debole l’Occidente, che diffida di Xi Jinping ma si rivela incapace di ridurre la dipendenza dal made in China. Qualche coincidenza è emblematica. I Giochi del 2008 si aprivano mentre l’America stava per sprofondare nella crisi dei mutui, svolta decisiva del suo declino. E in quei giorni la Russia attaccava la Georgia sotto gli occhi di un George Bush impantanato in Iraq, Afghanistan.

Ai Giochi del 2008, che seguii come corrispondente da Pechino, nessun governo si sognò un boicottaggio. La Repubblica Popolare fu omaggiata da delegazioni di alto livello e Vip da tutto il mondo. Allora «scoprivamo» la nuova superpotenza in tutto il suo fulgore; la capitale aveva chiamato archistar internazionali a costruire edifici spettacolari. Gli abusi contro i diritti umani erano ben visibili: poco prima dei Giochi c’erano state rivolte in Tibet, schiacciate dall’esercito. Ma il capitalismo occidentale era in luna di miele con la «fabbrica del pianeta», dove oltretutto delocalizzava le produzioni più inquinanti. La simbiosi tra le economie americana e cinese sembrava perfetta. Nell’establishment americano molti teorizzavano che a furia di arricchirsi i cinesi sarebbero diventati più democratici.

I Giochi invernali 2022 si aprono in un mondo irriconoscibile. La crisi dei mutui, allargatasi in uno schianto finanziario globale, fece esplodere contraddizioni dentro gli Stati Uniti: consentì l’elezione di Barack Obama ma alimentò una rabbia operaia contro i danni della globalizzazione, che ci avrebbe dato Donald Trump.

La Cina fu l’unica economia a salvarsi, usando dirigismo e capitalismo di Stato. Risale al 2008 una «epifania» cinese: la rivelazione delle fragilità occidentali agli occhi dei dirigenti comunisti. Cominciò a manifestarsi un complesso di superiorità, e Xi Jinping dal 2012 incarna una classe dirigente sicura di sé fino all’arroganza. È nata la diplomazia cinese dei «guerrieri lupo», con un linguaggio bellicoso che spazza via le cautele tradizionali. Dalle Vie della Seta all’espansionismo anche militare in Asia e in Africa, un progetto egemonico ha preso corpo.

Il Covid poteva deragliare la marcia trionfale della Cina. Il verdetto è prematuro. Per adesso Xi è convinto di aver trasformato una potenziale débacle in una vittoria. Prosegue l’irrealistica politica del «Covid zero», l’estirpazione completa del virus, con costi umani enormi. I Giochi blindati saranno il culmine di questo esperimento estremo. L’apparizione di piccoli focolai di contagio ha fatto scattare nuovi lockdown in grandi città come Xi’an; restrizioni mirate hanno colpito i porti di Shanghai, Tianjin, Ningbo. La xenofobia viene alimentata dall’alto con fake-news sul contagio importato attraverso prodotti stranieri. Atleti e allenatori vivono in una bolla. Le vendite di biglietti sono state chiuse. Pechino è circondata da un cordone sanitario.

Gran parte della popolazione, in particolare i migranti delle campagne, subirà divieti di viaggio durante la festività del ricongiungimento familiare, il Capodanno lunare. Ci sono le condizioni perché la società cinese, dopo due anni di restrizioni, sia pronta a esplodere, ma finora non sono giunti segnali di tensioni gravi.

Alla pandemia si aggiungono problemi antecedenti: la crescita economica rallenta; le bolle finanziarie nel settore immobiliare sono mine vaganti; il crollo della natalità provoca un invecchiamento a cui la Cina è impreparata. Affrontare insieme questi problemi sembra impossibile: terapie d’urto contro le bolle speculative, o per la riduzione delle emissioni carboniche, sarebbero un ulteriore freno alla crescita che Xi non si può permettere.

Alle sue debolezze la Cina risponde con un’autostima che contrasta con lo stato d’animo dell’Occidente: angosciato e depresso. Da un’Olimpiade all’altra sembriamo più consapevoli delle minacce cinesi, più spaventati, e più insicuri su noi stessi. Il «boicottaggio diplomatico» di questi Giochi — che significa non mandare delegazioni governative di alto rango — vede gli alleati divisi (l’Italia non partecipa). I dazi di Trump, varie forme di sanzioni, il contenimento attraverso le alleanze di Biden, non hanno scalfito il made in China. Al contrario. Le economie occidentali soffrono per scarsità di prodotti e inflazione. L’unica cosa che non scarseggia sono le importazioni dalla Cina: basta entrare in una farmacia a comprare mascherine, o navigare nel catalogo Amazon, per averne conferma. Xi Jinping finora è riuscito in un’impresa inverosimile: ha «sequestrato» 1,4 miliardi di cinesi con la semi-chiusura delle frontiere, senza indebolire l’industria.

Xi ha un mare di problemi e il suo trionfalismo non deve farci velo. Ma quello più facile da gestire siamo noi occidentali. Il record storico dell’attivo commerciale cinese a 676 miliardi di dollari nel 2021 ha chiuso il secondo anno della pandemia in modo clamoroso. Nello scacchiere geopolitico, Medvedev nel 2008 irritò Pechino guastando l’inaugurazione dei Giochi con l’operazione-Georgia; oggi l’asse tra Cina e Russia si è consolidato e incoraggia le mire di Putin in Europa.

Di Federico Rampini

Corriere della Sera

25 gennaio 2022