Roma (AsiaNews) – Massicce proteste contro la rigida politica di azzeramento del Covid-19 si diffondono in tutta la Cina. Shanghai ha visto oggi il secondo giorno di dimostrazioni. La gente si è riunita di nuovo per chiedere alla polizia di rilasciare le persone arrestate durante la notte. Le Forze dell’ordine hanno risposto con nuovi fermi: video online mostrano agenti in divisa e in borghese che afferrano i manifestanti, donne comprese, scaraventandoli in bus e portandoli via tra urla e pianti.
L’ondata di rabbia segue le manifestazioni dei giorni scorsi a Urumqui, capitale della regione autonoma dello Xinjiang, in cui si chiedeva la fine delle restrizioni sanitarie. La popolazione locale ha incolpato le autorità per la morte il 25 novembre di 10 persone a causa di un incendio in una palazzina: le draconiane misure anti-Covid avrebbero ostacolato la loro fuga.
Le proteste sono rare nello Xinjiang, dove secondo esperti indipendenti e dell’Onu le autorità hanno internato uiguri e altre minoranze turcofone in veri e propri campi di concentramento, in nome della lotta al terrorismo.
Il governo cinese non ha ancora risposto alle dimostrazioni. Dopo l’incendio mortale di Urumqi, l’atteggiamento arrogante dei dirigenti locali ha scatenato la rabbia dei cinesi in diverse parti del Paese. Le autorità dello Xinjiang hanno incolpato coloro che hanno perso la vita nel rogo per la scarsa consapevolezza della sicurezza e la mancanza di conoscenze, evitando di dire che le uscite di emergenza degli edifici residenziali erano chiuse a chiave.
Subito dopo, la sera del 27 novembre, centinaia di persone a Shanghai si sono radunate nella zona centrale della città per ricordare le vittime della tragedia di Urumqi. Le persone hanno offerto fiori e acceso candele per commemorare i morti e il raduno si è poi trasformato in una manifestazione. I dimostranti hanno chiesto la fine dei lockdown, aggiungendo richieste politiche.
La gente ha ripetuto slogan come “Partito comunista, fatti da parte” e “Xi Jinping, dimettiti”. Alcuni presenti hanno gridato “non vogliamo test con tamponi. Vogliamo la libertà”: una richiesta simile a quella fatta a Pechino prima del 20° Congresso del Pcc in ottobre da un dimostrante solitario.
Le immagini delle proteste a Shanghai continuano a circolare sui social network. Il fatto desta scalpore perché è dal massacro di Piazza Tiananmen del 1989 che un folto strato della popolazione non chiedeva in modo aperto le “dimissioni” della leadership comunista.
Le autorità hanno rafforzato la censura su internet e bloccato gli account degli utenti che hanno condiviso foto e video sui social network. Ispirati dalla protesta di Shanghai, manifestanti sono scesi in strada anche a Chengdu (Sichuan): hanno urlato “no alla leadership a vita, la Cina non ha bisogno di un imperatore”, “Libertà di parola, libertà di stampa”,
I dimostranti hanno invocato “libertà di parola e stampa”, per poi essere caricati dalla polizia, che ha arrestato alcune persone.
A Wuhan (Hubei) dove il Covid-19 è apparso la prima volta, manifestanti hanno abbattuto le recinzioni e le barriere metalliche per la quarantena, prima di essere attaccati dalla polizia antisommossa. A Guangzhou (Guangdong) la folla ha manifestato per chiedere il rilascio dei cittadini arrestati a Shanghai. Video online mostrano alcuni dimostranti fermati.
Una massiccia protesta si è avuta nella notte anche a Pechino. Gli studenti universitari sono in azione nei campus della capitale. In diverse università cinesi si stanno verificando scontri tra studenti e Forze di sicurezza per chiedere alle autorità di porre fine al blocco sanitario. “Democrazia e stato di diritto, libertà di espressione” è lo slogan degli studenti dell’università Tsinghua, una delle più importanti del Paese. Secondo post sui social network, alla serie di proteste hanno aderito studenti di oltre 50 atenei.
Gli studenti hanno anche lanciato la “rivoluzione del foglio bianco”, in cui ogni manifestante rimane fermo sventolando un pezzo di carta senza scritte. Nei post online si legge che la polizia e la sicurezza delle università prestano particolare attenzione a questa forma di protesta
Proteste massicce hanno avuto luogo anche nella fabbrica Foxconn di Zhengzhou (Henan), dove vengono prodotti gli ultimi modelli di iPhone. Dalla fine di ottobre, un gran numero di lavoratori ha lasciato il proprio posto per l’insorgere del virus all’interno dello stabilimento: ai dipendenti è stato ordinato di rimanere nei dormitori. Un gran numero di loro è tornato però nelle proprie città di origine a piedi per evitare di essere arrestato sui mezzi pubblici.
In difficoltà per la mancanza di forza lavoro, la Foxconn ha chiesto aiuto al governo, che ha peggiorato la situazione. Le autorità hanno mobilitato i veterani per lavorare alla catena di montaggio. Quando il personale reclutato è arrivato in fabbrica, si è reso conto che la retribuzione era inferiore a quella promessa. Insoddisfatti del pagamento e temendo le infezioni, i nuovi assunti si sono dimessi e hanno domandato un risarcimento, richieste che la scorsa settimana hanno portato a scontri di massa con la polizia e gli agenti di sicurezza dello stabilimento.
Di Johon Ai
AsiaNews – 28 novembre 2022