11 aprile 2023
A proposito del Dalai Lama, un commento intelligente … certo bisogna avere voglia di leggere oltre le trenta parole …
di Giuliano Ferrara
Il Foglio
11 aprile 2023
Ho incontrato tanti anni fa il Dalai Lama alle pendici dell’Amiata, dove prosperava una scuola di buddismo tibetano che lo aveva invitato a un’abbuffata di tortelli maremmani, di cui Sua Santità si mostrò voracemente goloso, tutt’altro che una occasione da Nobel. Mi piacque il suo fare scanzonato. Contagioso il suo sorridente e gaudente omaggio alla convivialità. Era chiaro che lo scherzo e la santità monacense si rincorrevano in ogni gesto e modo di quell’uomo per me, che non sono adepto delle teorie della reincarnazione, stranamente e assurdamente venerabile. Mai avrei pensato che quel monaco sarebbe finito nelle fauci della setta pornopuritana e che, come il cardinale George Pell e oggi addirittura san Giovanni Paolo II, preti cattolici di venerata memoria, sarebbe stato iscritto nella stele della celebre Colonna Infame come untore e propagatore della peste pedocriminale tramite unguenti ed erbe che non può avergli fornito il barbiere, come usava nel Seicento, anche perché è giudiziosamente pelato.
Non voglio crederlo. C’è gente sui social che non ha visto nel bacino sulla guancia richiesto a un fanciullo ammiratore da un santone quasi nonagenario, nel suo sfiorargli le labbra, nella sua esibizione ridente della lingua a scopo goliardico e rituale, un gesto di pura innocenza, una canzonatura perfettamente intonata alla leggenda della lingua nera dell’uomo cattivo che percorre da secoli il Tibet. C’è gente che ha pensato a pulsioni malsane, a un pornoshow sotto lo sguardo delle telecamere, a un caso di psichiatria e patologia senile, messo in scena in un tempio consacrato, durante una cerimonia pubblica e liturgica, quando un occhio semplice, non particolarmente allenato alla decostruzione dei segni, non poteva non vedere, non poteva non sapere, che quello era un siparietto trascorso, come dicono le cronache, tra gli applausi e le risa del pubblico fedele. Ma che occhi hanno i più contemporanei tra i miei contemporanei. Di che cosa è ammalata la vista del commentatore Twitter, del Coglione Collettivo?
Trasformare un papa della montagna, che da una vita indulge benevolente anche nella caricatura di sé stesso, in un untore pedocriminale: ma non è il colmo del fraintendimento, questo sì pulsionale e malsano, non è il culmine di una malattia sociale contratta in nome dei bambini da una civiltà sterminatrice non metaforica di piccoli, nati e non ancora nati?
Eppure basterebbe la Treccani, specie nei giorni di Pasqua. “Sìnite pàrvulos…” (lat. “Lasciate che i fanciulli vengano a me”). – Frase rivolta da Gesù ai suoi discepoli (Marco 10, 14), quando essi cercavano di respingere coloro che gli presentavano i bambini perché li toccasse, e che continua con l’affermazione che soltanto chi è puro e innocente come un fanciullo entrerà nel regno dei cieli (talium enim est regnum Dei. Amen dico vobis: Quisque non receperit regnum Dei velut parvulus, non intrabit in illud). Il richiamo alla frase evangelica è fatto spesso per testimoniare l’amore di Gesù verso i fanciulli e verso le anime candide in genere (fine della citazione).
Che c’entra la macina da appendere al collo di chi scandalizza i pargoli, la pena di morte cristiana, con questo teatro esotico privo di qualunque possibile riscontro nella nostra deriva parafiliaca, nei nostri disturbi della personalità psicosessuale? Da molti anni qui ci ostiniamo a predicare che c’è qualcosa di sbilenco e di equivoco nell’ossessione pestifera per la pedofilia intesa come fenomeno sociale o carattere tipizzante del clero cattolico; e che una società in cui si intende insegnare ai bambini a scegliere il loro sesso senza pregiudizi di genere non è adatta a difendere nel modo giusto e sacrosanto l’innocenza dell’infanzia; e che i fantasmi ideologici oscurano la puntuale ricognizione dei reati e delle offese all’integrità e libertà dei bambini. Ora il Dalai Lama si è dovuto assurdamente scusare, comportandosi, all’inverso, come il famoso pastaio che aveva fatto girare uno spot in cui la famiglia dei biscotti riunita intorno al mulino era quella tradizionale, dunque offendendo il pansessualismo e mettendo in pericolo la sua espansione commerciale. Non voglio crederlo.
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