Dharamsala, 3 gennaio 2011. Jigme Gyatso (nella foto), un prigioniero politico tibetano detenuto in una prigione nelle vicinanze di Lhasa, è in gravi condizioni di salute e in pericolo di vita a causa delle torture inflittegli dal personale carcerario. Ne dà notizia il sito ufficiale del Governo Tibetano in Esilio.
Nel 1996 Jigme fu condannato a quindici anni di detenzione sotto l’accusa di “attività controrivoluzionarie”. Recluso nella prigione di Drapchi, fu sottoposto a un duro regime di lavori forzati. Altri due anni di pena gli furono inflitti per gridato, in carcere, slogan inneggianti alla lunga vita del Dalai Lama. A causa delle torture e delle percosse subite, le condizioni fisiche di Jigme peggiorarono significativamente. Il durissimo trattamento proseguì anche dopo il suo trasferimento nella prigione di Chusul. Nato a Sangchu nel 1961, viveva a Lhasa con la madre, deceduta due anni dopo il suo arresto.
Da Dharamsala apprendiamo inoltre che un altro tibetano, Chime Tashi, ventinove anni, è stato condannato lo scorso 3 ottobre a due anni di carcere per essersi recato, nel 2008, in pellegrinaggio in India e aver preso parte, a Bodhgaya e Varanasi, agli insegnamenti del Dalai Lama.
Assieme ad altri 50 tibetani, Chime era stato arrestato nel 2005 per aver cercato di lasciare il Tibet e raggiungere l’India attraverso il Nepal. Fermati presso la cittadina di frontiera di Solokhumbo e rimpatriati, i fuggitivi furono condannati a quattro mesi di lavori forzati e poi consegnati agli Uffici di Pubblica Sicurezza delle rispettive località di residenza. Per aver contravvenuto all’ordine di non intraprendere “attività illegali” nei cinque anni successivi, Chime, recatosi in India per ricevere gli insegnamenti del Dalai Lama, è stato considerato un “separatista” e condannato. Sta scontando la pena nel centro di detenzione di Toelung, vicino a Lhasa.
Fonte: Phayul