di Wei Jingsheng
(AsiaNews, 23 febbraio 2011)
Uno dei maggiori dissidenti cinesi analizza il comportamento del Partito comunista cinese – che censura e minimizza le notizie riguardanti l’onda democratica nei Paesi arabi – e opera un paragone fra quei popoli e quello cinese. Oramai, spiega, “soltanto chi parla per il popolo viene ascoltato. E in Cina è tutto pronto per una nuova rivolta popolare”.
Washington (AsiaNews). Mentre tutto il mondo presta attenzione all’onda democratica nelle nazioni arabe, si sente spesso qualcuno che si chiede che impatto possa avere tutto questo in Cina. Non è soltanto il popolo cinese a discutere della questione: i commentatori stranieri hanno la stessa preoccupazione. Mentre si impegnano duramente per bloccare le notizie, i dirigenti del regime comunista cinese puntano anche su una propaganda antagonista. I titoli spesso recitano “La Cina non è l’Egitto” o cose simili. Il Partito grida con forza per sottolineare le differenze fra i due Paesi, cercando di provare come l’ascesa democratica del Cairo non sia esportabile a Pechino. Ma se è davvero così, come mai il regime blocca le notizie relative all’Egitto sia sui media tradizionali che su internet? Perché non permette agli utenti del web di discutere di quella rivoluzione? Si tratta di una classica negazione che, per tutta risposta, diventa un’auto-denuncia.
Quando fattori diversi si accumulano fino ad arrivare a uno stato critico, la rivoluzione può scatenarsi in modi diversi, per ragioni diverse. La rivoluzione non dovrebbe infatti essere definita in una maniera specifica, dato che non deriva da alcun motivo specifico. Dire che la Cina non è l’Egitto è spazzatura, come dire che il pane non è riso. Perché, quando hai necessità di cibo, sia riso che pane possono servire allo scopo. Per quanto riguarda la rivoluzione, le varie strade e le varie ragioni scatenanti possono ognuna avere una possibilità. Tutto quello che questa gente vuole è raggiungere i propri obiettivi e una maggior libertà, invece di uno studio accademico sulla storia. Dopo tutto, la storia è composta da vari scopi: alcuni sono stati raggiunti, altri no. Quella storia non può dire se uno scopo verrà raggiunto o meno, al giorno d’oggi.
L’Egitto e le nazioni arabi sono società controllate da gruppi molto religiosi. In quei luoghi, la religione è sempre stata un fattore molto importante per il movimento sociale, e gioca un ruolo centrale per attrarre le masse. Sotto lo scudo della religione sono racchiusi scopi politici diversi. E questo è il motivo alla base della complessità delle società arabe.
La società cinese non è diversa. Ogni tipo di obiettivo politico emergente si ammanta nelle ideologie tradizionali e viene propagato alle masse, scatenando al momento giusto una riforma o una rivolta. Questo modello – mettere vino nuovo in bottiglie vecchie – va avanti dai tempi antichi, ed è considerato la maniera più efficace per veicolare l’idea della rivoluzione al minor costo possibile. Questo approccio sta lentamente emergendo in Cina, e rappresenta un segnale importante: anche quel Paese sta preparando la sua rivoluzione.
In Cina, i concetti democratici che arrivano dall’Occidente hanno già ricevuto il sostegno popolare. Persino all’interno delle lotte fra membri del Partito, ogni fazione usa il concetto di democrazia per ottenere posti di comando. Tuttavia, questa speranza per tutti i popoli non è ancora così forte come fattori essenziali tipo sopravvivere, tipo sale e riso. Storicamente, un nuovo sistema sociale può divenire intoccabile soltanto dopo molti anni di successi. Prima che questo avvenga, verrà avvolto da una vecchia ideologia per distribuirlo e farlo fermentare, fino a che non arrivi a distruggere in maniera graduale le fondamenta del vecchio sistema e costruisca la legittimazione necessaria all’emersione di una nuova società.
Nella Cina di oggi, la forma più ovvia di questo fenomeno è la cosiddetta “nuova sinistra maoista”. L’ultimo sviluppo di questo gruppo, avvenuto qualche giorno fa, si è espresso tramite una lettera di raccomandazioni al governo da parte dell’Associazione “dei figli di Yan’an”. Il linguaggio usato nel testo è quello tipico e stereotipato del Partito comunista, e basta leggere la lettera per capire che i suggerimenti sono insignificanti e impossibili da mettere in pratica. Quasi tutti i commenti che ho letto erano di derisione, come se il testo fosse stato scritto da un gruppo di idioti sognatori. Ad essere buoni si potrebbe dire che gli autori sono datati.
Tuttavia, se si guarda ai contenuti di questa lettera invece che al suo formato, o se la consideriamo una pubblicità o un’opinione pubblica, allora vale veramente la pena di leggerla. Va diretta al punto, e spiega come il fulcro dell’attuale conflitto sociale è dato esattamente dall’ingiustizia sociale e dalla disparità fra ricchi e poveri. Sottolinea poi in maniera particolare che, senza alcun dubbio, la responsabilità per questi problemi è del Partito comunista. Aggiunge che la nascita di questi problemi è da imputare alla mancanza di democrazia, e suggerisce un ritorno della democrazia per curarli. La ragione per promuovere la democrazia è la cosiddetta “linea di massa” tradizionale che è stata promossa dal Partito comunista ai suoi albori, invece della “elite che guida il Paese” che è stata portata avanti per molti anni.
Anche se non lo dice in maniera esplicita, questa lettera implica che gli elitismi imposti o la democrazia elitaria sono modelli falliti, i colpevoli della situazione in cui si trova oggi la Cina. Questa espressione è esattamente la teoria principale del movimento democratico cinese, così come l’ispirazione che il popolo cinese ha avuto dall’onda democratica araba. Dopo le ondate degli anni Settanta e Ottanta in Cina, diversi regimi autoritari hanno imparato a comprarsi le elite condividendo gli interessi della dittatura. L’esempio più tipico è quello di Jiang Zemin, che incluse le elite nelle “tre rappresentanze”. Il Partito comunista si è comprato un buon numero di lobby – che rappresentano una piccolissima parte della popolazione – per condividere gli interessi di un governo dispotico e trasportarli in un gruppo di interesse comune. Questo approccio vincente di pagare poco ed ottenere tanto è alla base del sistema autoritario tradizionale della Cina.
Sull’onda dei movimenti democratici arabi, le elite democratiche guidate da occidentali non sono riuscite a giocare un ruolo positivo. Questa stessa rivelazione porva che il “modello Cina” di comprarsi le elite è, nei fatti, positivo. Piuttosto si conosce poco del ruolo giovato in queste rivoluzioni dai giovani e dalle forze religiose. Una semplice verità che viene dal passato dice: “Prima che le ceneri nell’urna diventino fredde, arriverà il caos nello Shandong. Dopo tutto, Liu e Xiang non erano intellettuali”. In queste due frasi – tratte da un poema della dinastia Tang – le “ceneri nell’urna” si riferiscono al rogo dei libri operato dal primo imperatore cinese Qin Shi Huang; mentre “Liu e Xiang” sono i due leader più conosciuti della rivolta che ha abbattuto la dinastia Qin. Con la premessa di intense contraddizioni sociali, l’intera società ha bisogno di risolvere il conflitto per tornare alla normalità. Questa necessità guida le forze rivoluzionarie. Dobbiamo trovare un modo per liberare questa forza dinamica. Ovviamente, la cosa migliore sarebbe vedere gli intellettuali alla guida della rivoluzione; ma questa è un’ipotesi teorica. Quando gli intellettuali vengono comprati, o non sono in grado di gestire la situazione, quella forza dinamica cerca un altro modo per scatenarsi. E non si ferma fino a che non ha raggiunto il proprio scopo. Questo è il sentiero che mostrano l’Egitto e le altre nazioni arabe.
In Cina c’è anche un’altra ragione di fondo: la “linea delle masse” è tornata in auge dopo anni di incompetenza da parte delle elite di opposizione. Dato che la società internazionale è già stata comprata dai tiranni, l’importanza delle masse diventa evidente. Quando le dimostrazioni pacifiche si dimostrano inefficaci – come è già successo – una rivoluzione violenta e un colpo di Stato diventano le uniche opzioni rimaste. Negli ultimi anni, sono emersi sempre più gruppi della “sinistra maoista” che parlano per il popolo. Sono loro i gruppi più giovani, e in maggiore espansione, della società cinese.
Questo tipo di opposizione – mettere il vino nuovo nelle bottiglie vecchie – funziona come quella operata dai gruppi religiosi nelle nazioni musulmane. Questi gruppi sono la vera opposizione. Proprio come l’opposizione protestante durante le ondate democratiche in Europa, sono loro i promotori della democrazia. Saranno loro a preparare le fondamenta per una nuova rivoluzione popolare.
Wei Jingsheng
(AsiaNews, 23 febbraio 2011)