Dharamsala, 14 aprile 2011. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha reso noto che, in seguito all’aumentata presenza di forze di sicurezza e truppe paramilitari cinesi, nella Prefettura Autonoma di Ngaba (nella foto una veduta della zona) e attorno al monastero di Kirti la tensione è altissima. La situazione è precipitata dopo la morte di Phuntsok, il monaco che il 16 marzo 2011 si è dato fuoco in segno di protesta contro la repressione cinese del 2008 (vedi news 17 marzo e 7 aprile 2011).
Da quel giorno, le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza in tutta la zona e hanno circondato il monastero di Kirti, al quale il giovane monaco apparteneva. Il 9 aprile, sono arrivati sul posto 800 agenti di polizia e hanno completamente circondato l’istituto religioso mettendo di conseguenza a rischio, per mancanza di approvvigionamenti alimentari, la vita dei 2.500 monaci residenti.
Il giorno 12 aprile, verso mezzogiorno, la popolazione locale – si parla di diverse migliaia di persone tra cui molte donne e anziani – ha formato un cordone umano attorno al monastero per proteggere i monaci e tentare di impedire al personale militare l’ingresso al convento e l’arresto dei religiosi dopo che le autorità cinesi avevano fatto sapere che tutti i monaci di età compresa tra i 18 e i 40 anni sarebbero stati trasferiti in altra località per essere sottoposti a sessioni di ri-educazione patriottica. Secondo fonti tibetane in esilio, la gente della Prefettura di Ngaba è riuscita ad impedire che un certo numero di veicoli militari entrasse nel monastero ma la polizia, per disperdere i tibetani, ha usato bastoni elettrici e cani addestrati. Diverse persone sono state morse. I monaci hanno cercato di uscire per aiutare i loro difensori, ma sono stati bloccati da recinzioni di filo spinato e guardie armate. Oltre 33 persone sono state arrestate, di cui 22 (otto monaci e 16 laici) sono ancora detenute.
Secondo un comunicato di International Campaign for Tibet, l’isolamento dei monaci è totale, è loro persino impedito di bruciare gli incensi rituali e lo zio e il fratello minore di Phuntsok sono stati arrestati. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha fatto appello alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite affinché intervengano per fermare questa grossolana violazione dei diritti umani, gli arresti e le detenzioni arbitrarie, e ripristinare la libertà di movimento.
Il coraggio degli abitanti della Contea di Ngaba non ha impedito ai poliziotti l’ingresso al monastero precludendo ai monaci ogni possibilità di uscita. Alcune falle nello sbarramento di filo spinato, nella parte nord del monastero, sono state chiuse con muri di cemento. Le autorità impediscono ai fedeli tibetani dei dintorni di portare offerte di cibo ai monaci, che non possono uscire per procurarsi da mangiare. Nel tentativo di allentare la tensione, alcuni dirigenti del monastero hanno tentato di persuadere la folla a mantenere la calma. La situazione è temporaneamente migliorata ma i tibetani locali hanno bloccato tutte le strade di uscita dalla Contea di Ngaba. Le autorità della Prefettura, raggiunte telefonicamente, negano sia i disordini sia gli arresti.
Kirti Rinpoche – Rongpo Choje Kirti Tulku – il lama del monastero di Kirti, dal suo esilio di Dharamsala ha inviato un proprio messaggio alle autorità cinesi: “Truppe armate e forze governative locali stanno in questi giorni infierendo sui monaci e sul monastero della prefettura di Ngaba privandoli della libertà e portandoli alla disperazione”. “Per questo motivo mi rivolgo a voi: non potete pensare di controllare il popolo solo con la crescita economica e con la propaganda…” “Lungi dall’ottenere qualsiasi successo, questa politica porterà solo allo scontro tra governanti e governati”.
“Stiamo cercando in ogni modo di far arrivare un messaggio all’interno del monastero” – ha dichiarato ad Asia News Samdhong Rinpoche, Primo Ministro del Governo in Esilio – “per dire ai monaci di non opporre resistenza, perché la vita umana è preziosa e le misure repressive della Repubblica popolare cinese sono brutali. Ma finora purtroppo non ci siamo riusciti”.
“Il governo cinese – aggiunge Rinpoche – considera la religione un nemico e una minaccia al proprio potere”. “Così vogliono reprimere le istituzioni religiose, per frenare i loro insegnamenti e si accaniscono con brutalità anche contro i monaci, che invece sono non-violenti e non assecondano alcuna politica”.
Fonti: Phayul – Asia News – ICT – Radio Free Asia