CINA: DISSIDENTE CONDANNATO SENZA ALCUNA PROVA AD ALTRI 8 ANI DI CARCERE. “IMMORALE” PER IL DALAI LAMA LA CONDOTTA DI PECHINO

11 luglio 2011. Il governo comunista cinese continua nella sua operazione di repressione totale contro ogni forma di dissidenza interna. Nonostante i proclami ufficiali a favore della “società armoniosa”, infatti, il regime ha scelto di non mantenere in piedi neanche una parvenza di stato di diritto: nei giorni scorsi, un giornalista cinese e uno scrittore tibetano sono stati vittime palesi di ingiustizie operate proprio da tribunali e polizia.

Dopo 4 anni di galera, la Corte popolare di Tengzhou ha condannato lo scorso 26 giugno ad altri 8 anni di galera Qi Chonghuai, giornalista famoso per la sua denuncia della corruzione nella pubblica amministrazione cinese. La famiglia, che lo aspettava fuori dal carcere per festeggiare la sua libertà, ha ricevuto la notizia da un giornalista che aveva ascoltato la nuova sentenza. Secondo i giudici, Qi si è macchiato di “corruzione” e tangenti ai danni di pubblici ufficiali. Ma non hanno spiegato come questi, che ha trascorso gli ultimi quattro anni in cella, possa aver commesso questo nuovo reato. Secondo l’avvocato Wang Quanzhang “è una violazione assurda”. “Non può aver commesso nuovi crimini, in galera”.

Durante un’inchiesta compiuta nel 2007, Qi ha postato su internet la foto di un edificio di lusso costruito con i soldi pubblici per un funzionario statale. Lo scopo evidente era quello di denunciare la corruzione del governo, ma i giudici lo hanno accusato e condannato per “aver cercato di ricattare” il funzionario in oggetto. Nel cortile del carcere, la moglie ha letto un biglietto del dissidente: “Grazie a tutti per il vostro aiuto”. “Ci rivedremo in una prossima vita, quando ritornerò. Auguro il meglio a tutte le persone buone”.

La repressione di Pechino non si ferma ai dissidenti esterni: la stretta è stata ordinata anche per lo Xinjiang, patria degli uighuri, e per il Tibet. Secondo le fonti del Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, infatti, lo scrittore 25enne Pema Rinchen è stato arrestato lo scorso 5 luglio dalle autorità cinesi nella contea di Drango. Subito dopo la detenzione, l’intellettuale – noto per le sue continue denunce della politica cinese in Tibet – è stato ricoverato d’urgenza in un ospedale locale per le percosse violente subite dagli agenti. Dopo aver appreso la notizia, la famiglia di Pema è corsa in ospedale per visitare il proprio congiunto, ma diversi agenti di guardia al di fuori della sua stanza hanno impedito ogni contatto. Dopo un’infanzia trascorsa in un monastero, Pema si è dedicato con passione alla causa del popolo tibetano: ha viaggiato per tutta la regione per intervistare protagonisti delle vittime degli scontri del 2008. Dopo questo viaggio, ha pubblicato un libro-denuncia che (ovviamente clandestino) è stato distribuito in più di duemila copie.

Negli ultimi mesi, il regime cinese ha intensificato la stretta sugli intellettuali del Tibet. Dal 2008, anno in cui si sono verificate enormi manifestazioni di protesta in tutta l’area, oltre 60 fra giornalisti, dissidenti, artisti, scrittori e filosofi sono stati arrestati, picchiati e condannati a lunghe pene detentive. Ma la repressione colpisce anche i monasteri, considerati da Pechino l’epicentro della resistenza anti-cinese. Secondo il Centro, negli ultimi giorni sono stati fermati e condannati al carcere almeno tredici monaci buddisti. Due di questi – Sonam Choegyal e Sonam Nyima, entrambi di 19 anni – sono stati condannati a 3 anni di carcere per il ruolo svolto nelle manifestazioni dello scorso anno. Degli altri non si conosce ancora la sorte.

Da Washington DC il Dalai Lama, in occasione di un incontro sul tema dei rapporti Sino – Tibetani, ha definito “immorale” sia la distorsione delle notizie sia la censura sui mezzi di informazione attuate da Pechino aggiungendo che il popolo cinese ha il diritto di conoscere la verità, non solo in merito a quanto avviene i Cina ma anche riguardo alla questione tibetana. In particolare, su questo argomento, il Dalai Lama ha affermato che nel 2008 il governo cinese lo ha dipinto come un “demonio” mentre invece sarebbe importante che i cinesi conoscessero la verità riguardo al Tibet: la verità e la non violenza – ha detto – sono l’unica via possibile per la soluzione problemi.

Il leader spirituale dei tibetani ha inoltre dichiarato che quei cinesi che lo accusano di separatismo devono rendersi conto del fatto che si è ormai ritirato dalla scena politica e che la questione del Tibet non ha nulla a che vedere con la persona del Dalai Lama. Sua Santità ha auspicato la nascita di una Cina democratica, delineandone i presupposti nella trasparenza, nella fine della censura e in un’azione di governo basata su norme in armonia con gli standard internazionali.

Ha partecipato alla conferenza anche il dottor Lobsang Sangay, neo eletto Primo Ministro del Governo Tibetano in esilio. Rispondendo a chi gli chiedeva se avrebbe continuato ad attenersi alla linea politica della Via di Mezzo, il nuovo Kalon Tripa, che entrerà ufficialmente in carica il prossimo 15 agosto, ha affermato che saranno i tibetani a decidere. Il Dalai Lama si è dichiarato pienamente concorde e ha specificato che il rispetto della volontà dei tibetani è stato nelle sue intenzioni fin dal primissimo istante del lancio della sua politica.

Fonti: AsiaNws – The Tibet Post International