25 luglio 2011. “Incoraggiamo l’afflusso di capitali cinesi in Italia”. La scorsa settimana il Ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, ha affermato che “il governo italiano incoraggia fortemente l’afflusso di capitali cinesi in Italia, senza ostacoli legali, barriere o diffidenze”. Frattini ha anche sottolineato il ruolo dell’Italia come ponte tra Cina ed Unione Europea, riprendendo un concetto già espresso dal presidente Napolitano nella visita a Pechino dell’ottobre scorso. “L’Italia – ha puntualizzato il ministro – si fida della Cina e la considera un partner autorevole sotto il profilo economico e politico. Questa missione punta a un salto di qualità dei rapporti, che già registrano un’eccellente stagione a tutti i livelli”.
Il suo interlocutore, il vice premier Li Keqiang, che nel 2013 assumerà la carica di primo ministro cinese, ha ribattuto esprimendo un “grande apprezzamento” per il ruolo dell’Italia quale ponte tra Cina ed Europa. “Le relazioni con l’Italia – ha detto Li a Frattini – sono in prima fila tra quelle con i paesi europei. La Cina vi guarda con una visione lungimirante e strategica e con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione in tutti i settori”. Parole che sono state seguite dalla firma di una serie di accordi sui visti, sul welfare e sull’istruzione.
A livello ufficiale, nessun accenno è stato fatto, da parte del titolare della Farnesina, alla questione dei diritti umani, alla situazione del Tibet, alla dissidenza interna e ai problemi delle minoranze. Al contrario, Frattini si è dichiarato favorevole alla rimozione dell’embargo sulla vendita di armi alla Cina da parte dell’Unione Europea, embargo decretato dall’Europa all’indomani dei fatti di Tienanmen. Certo, come ormai è prassi consolidata, i rapporti economici e hanno il sopravvento e mai si vorrebbe urtare la suscettibilità di un partner commerciale corteggiato e adulato dai governi di ogni latitudine e pronto a farsi carico del nostro debito. Resta comunque l’amaro in bocca nel constatare che ancora una volta l’Italia ha taciuto, e con il silenzio di fatto avallato, le tante violazioni dei diritti umani e le repressioni feroci in atto in Tibet, nello Xinjiang e nei confronti di ogni oppositore del regime.
Pubblichiamo, a commento della visita di Frattini in Cina, il condivisibile articolo del Riformista “Frattini e la Cina, dove sono i diritti?”.
Forse se le segrete stanze della nomenclatura cinese potessero parlare, ci potrebbero svelare l’arcano: ma il ministro degli esteri Franco Frattini ha parlato di diritti umani in Cina o si è solo limitato ad offrire ai cinesi qualsiasi pezzo del paese pur di incamerare qualche yuan? Già perché stando ai resoconti e ai comunicati, di diritti umani non si è parlato ufficialmente. Anzi: il nostro capo delle feluche, nel farsi promotore del “riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, che sosteniamo con forza anche se qualche partner europeo ha delle difficoltà”, ha confermato che l’Italia vuole la rimozione dell’embargo europeo contro la vendita di armi alla Repubblica popolare, lo stesso imposto dopo i moti di Tiananmen di 21 anni fa.
Al soldo non si comanda: e così porte aperte ad investitori cinesi (che pare detengano già il 13% del debito pubblico italiano) su ogni settore. A sfregarsi le mani, in particolare Gao Xiqing, direttore del fondo sovrano cinese Cic (China Investment Corporation) al quale dal ministro è stato ribadito l’interesse italiano ad investimenti esteri e cinesi in Italia per quanto riguarda, in particolare, i settori del restauro di edifici pubblici di interesse storico, la piattaforma logistica in alto Adriatico e l’alta velocita’.
L’unico ostacolo, secondo il nostro ministro degli esteri, sarebbe la nostra burocrazia. Certo, il compito del nostro primo ambasciatore non è stato semplice, soprattutto perché si è dovuto sforzare per ridare credibilità all’Italia agli occhi dei cinesi, dopo la manovra economica, con le critiche internazionali e i pericoli di crisi. Ma non solo: in Cina i vari “gate” in cui è incappato il premier Berlusconi non ne hanno aumentato la popolarità come statista, anzi, lo hanno fortemente criticato. I media lo hanno preso in giro, ci hanno fatto pure cartoni animati.
Frattini ha evitato di parlare di Dalai Lama, del premio Nobel Liu Xioabo in carcere, delle centinaia tra dissidenti e avvocati arrestati solo quest’anno (molti dei quali scomparsi senza notizie), di Ai Weiwei, degli uiguri, la minoranza musulmana le cui proteste, ancora in queste ore, vengono represse nel sangue dalla polizia cinese. Paura che non ha avuto Barack Obama: nonostante il momento economico americano sia uno dei più critici, nonostante i cinesi detengono la maggiore quantità di debito Usa, il presidente americano ha accettato di incontrare il Dalai Lama, anche se non nello studio ovale, scatenandosi le ire di Pechino.
Ovviamente, situazioni e livelli diversi. Nel pacchetto offerto ai cinesi da Frattini, anche il padiglione italiano all’Expo di Shanghai. La struttura, interessata da scandali giornalistico-giudiziari per la sua gestione e per la partecipazione delle regioni, è oramai cinese: a dicembre è stata regalata dal commissariato generale italiano al governo di Shanghai nonostante altre amministrazioni e privati (oltre 20) avessero offerto fino a 12 milioni di euro per il suo acquisto. Resterà come vetrina del made in Italy. Ma a leggere la stampa cinese, lo Shanghay Daily in testa, si tratterrà di un’attività commerciale (un micro museo della Triennale e della Ferrari per il quale si pagherà un biglietto di ingresso ai cinesi), con un ristorante italiano e spazi “per attività commerciali tra aziende cinesi e italiane”. Una vetrina per qualche società, inserita in un parco dei divertimenti: a fine mese, nell’area di oltre 5 chilometri quadrati, oltre ai cinque padiglioni cinesi e alla decina di stranieri (tra i quali l’italiano) ci sarà anche un parco giochi con le montagne russe più alte della Cina, come recita la pubblicità.
Non era meglio una vetrina di sistema, magari affidando il padiglione alle associazioni di categoria italiane che avrebbero potuto li mostrare i loro prodotti. Ai contribuenti italiani che hanno finanziato la costruzione del padiglione, cosa ritornerà? O, meglio, non era meglio investire i dodici milioni di euro (una manna in questo periodo) mai presi e darli al purtroppo soppresso Ice (che in Cina ha sempre lavorato più che bene) per organizzare e potenziare le proprie iniziative promozionali? No, la burocrazia italiana ammazza, meglio regalare il padiglione ai cinesi e dare la possibilità alle gite scolastiche cinesi, tra una giostra e l’altra, di apprezzare “a taste of Italy”.
pubblicato da: Il Riformista
Fonti: MondoCina.it – Il Rifomista