12 ottobre 2011. All’ospedale di Bakham, dove era stato ricoverato dopo essersi dato fuoco, è spirato Khaying, il secondo dei due giovani monaci auto immolatisi il 7 ottobre. Si è appreso nella tarda serata dell’11 ottobre che anche l’altro ragazzo, Choephel, ritenuto in un primo tempo morto all’istante, è deceduto all’ospedale dove era stato ricoverato in condizioni gravissime. “L’attuale stato di repressione in Tibet è insopportabile”, aveva confidato ai suoi amici.
Prima di morire, Khaying ha dettato una lettera a chi lo assisteva: nello scritto dichiara di essere fiero del gesto estremo da lui compiuto per la causa del suo paese e chiede agli amici e ai compatrioti di non essere tristi per la sua morte. All’ospedale, Khaying è stato tenuto sotto stretta sorveglianza. Le autorità cinesi hanno effettuato la cremazione e solo in un secondo momento hanno consegnato le ceneri alla famiglia, tenuta sotto sorveglianza e costretta a limitare le pratiche religiose normalmente eseguite durante un funerale. Non più di cinque monaci hanno potuto officiare preghiere e rituali. In segno di solidarietà, gli abitanti di Ngaba hanno proclamato tre giorni di lutto cittadino. Dall’8 al 10 ottobre tutti i negozi e ristoranti della cittadina hanno tenuto le saracinesche abbassate. Molti tibetani si sono recati ai monasteri per porgere offerte e pregare.
Kesang Wangchuk, il monaco datosi alle fiamme il 3 ottobre mentre teneva tra le mani una foto del Dalai Lama, è ricoverato in un ospedale del distretto di Ngaba. Lo riferisce un comunicato stampa rilasciato il 10 ottobre dal monastero di Kirti in India. “Nonostante le ustioni e la grave ferita alla testa causata dalle percosse ricevute al momento del suo arresto, è sottoposto a incessanti interrogatori”, recita il documento. Riferisce il sito The Tibet Post che Wangchuk si trova in isolamento, sotto stretta sorveglianza, al secondo piano dell’ospedale. Anche Losang Konchok e Losang Kelsang, datisi alle fiamme il 26 settembre, sarebbero ricoverati rispettivamente all’ospedale di Barkham e all’ospedale di Chengdu.
Queste notizie, uscite dal Tibet grazie allo sprezzo del pericolo degli abitanti di Ngaba che con ogni mezzo cercano di farle arrivare a conoscenza del pubblico, sono state smentite dall’agenzia di stato Xinhua che, in un suo comunicato, afferma che Khaying e Choephel sono vivi e non corrono pericolo di vita. Martedì 11 ottobre, Liu Weimin, un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha addirittura accusato la “cricca” del Dalai Lama di essere responsabile delle auto immolazioni dei monaci. “Anziché condannare simili eventi, i seguaci del Dalai Lama danno loro risalto, diffondono notizie false e spingono altra gente a compiere gesti analoghi”, ha dichiarato ai giornalisti. Liu ha affermato inoltre che le auto immolazioni – definite contro la cultura e la morale umana, anche secondo i canoni della dottrina buddhista – fanno parte di un piano per rovesciare con la violenza il governo cinese in Tibet.
Fonti: The Tibet Post – Phayul – AP